La capitale della mafia salentina rompe l’omertà

La capitale della mafia salentina rompe l’omertà

Mesagne (Brindisi) «La mafia? Ma la mafia non uccide così. Non ha mai ucciso così». Per la strade e nelle piazze di Mesagne la gente parla. Se l’omertà da queste parti esiste, per un giorno i fatti di Brindisi l’hanno spazzata via. E tutti ripetono, come se recitassero a memoria un unico copione, che dietro l’ordigno che ha ucciso Melissa Bassi non c’è, non può esserci la mano della mafia salentina.
Non ci crede neppure il sindaco di questo comune di più di 27mila anime, Franco Scoditti, eletto a furor di popolo nel 2010: «Mi riesce difficile pensare che possa trattarsi di un’azione della criminalità organizzata». E se persino Fabio Marini, presidente della associazione antiracket cui agli inizi di maggio le cosche fecero saltare l’auto, dice prudente che «occorre un’attenta lettura degli eventi, ma la criminalità non ha mai fatto cose del genere», allora la caccia al movente e agli esecutori si complica. Maledettamente.
Mesagne, del resto, terra di mezzo lo è sempre stata. E non solo nel nome, mutuato da un vocabolo latino che sta indicare proprio la medianità: mesagnese doc, ad esempio, era Antonio Antonica, braccio destro di quell’Antonio Rogoli al quale la memorialistica criminale attribuisce la paternità della Sacra Corona Unita. Tuttora viva e vegeta in questo spicchio di Salento, come attestano le ripetute operazioni antimafia della Dda leccese, l’ultima delle quali risalente al 9 maggio scorso, quando dietro le sbarre finirono 16 persone accusate di associazione mafiosa. «È vero – riconosce il primo cittadino – negli anni Ottanta le cosche facevano sentire il loro peso, ma adesso è diverso: i criminali ci sono sempre, ma il centro storico è stato recuperato e reso vivibile, i servizi sociali sono un modello preso a prestito anche da altre realtà, le scuole sono impegnate in percorsi di legalità». E se fosse nascosto proprio nel contrasto di luci e ombre il filo che porta agli ideatori dell’assalto alla «Morvillo-Falcone»? «Gli storici ci parlano di una mafia silenziosa: un atto del genere sarebbe controproducente per le stesse cosche», ragiona Marini. «Se esistesse una pista mesagnese, chi ha colpito non avrebbe avuto bisogno di andare fino a Brindisi», gli fa eco Scoditti: «Chi ha ucciso lo ha fatto senza avere la sicurezza di chi si sarebbe trovato nel raggio d’azione dell’esplosione. E poi, sono troppe le coincidenze che potrebbero portare a soluzioni tra loro diverse: l’approssimarsi dell’anniversario della strage di Capaci, la vicinanza del Tribunale, l’arrivo a Brindisi della Carovana della legalità di Libera. Chi può dire come stiano le cose?».
Così, nella terra di mezzo resta in piedi una sola certezza: la morte orribile di una ragazza di 16 anni, figlia unica di un piastrellista e di una casalinga annientati dal materializzarsi del più atroce tra gli incubi.

«I funerali saranno accompagnati dal lutto cittadino e si terranno in piazza, perché non penso ci sia in città una chiesa tanto grande da poter contenere la disperazione di migliaia di persone», chiosa il sindaco. Tutt’attorno, intanto, la vita continua. È primavera, a Mesagne, anche se il vento caldo d’un sabato di sangue s’è portato via un fiore.

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