La contromossa azzurra: dimissioni dei parlamentari

Il partito si prepara a una sentenza sfavorevole: l'addio in blocco dei 200 eletti azzurri valutata in due diverse riunioni dei gruppi. Possibile la salita al Quirinale per protesta

La contromossa azzurra: dimissioni dei parlamentari

Roma - La contromossa è già pronta: dimissioni di massa. Più di un mese fa era stato Maurizio Gasparri ad accennare all'ipotesi. «Se non c'è praticabilità e la squadra esce dal campo, gli arbitri e i giudici devono considerare se la partita può andare avanti o meno», disse con metafora calcistica. Ma ora, a un giorno dalla sentenza della Cassazione, il Pdl affila le armi e non nasconde più una ipotesi di cui si è parlato in due distinte riunioni dei gruppi, con una possibile salita in massa al Quirinale per un atto formale di protesta.
È Michaela Biancofiore a mettere nero su bianco la volontà di salire sulle barricate. «Le dimissioni del Pdl non saranno solo dal governo ma di tutti i parlamentari Pdl. Lo abbiamo deciso in assemblea di gruppo, tutti d'accordo. Noi tutti siamo quel che siamo grazie a Berlusconi e gliene siamo grati. Le mie da sottosegretario sono pronte, come quelle dei ministri, se andasse male. Ma non ce ne sarà bisogno», dice a Repubblica la sottosegretaria che si mostra fiduciosa sulla sentenza della Cassazione. «Ho letto le carte processuali e non c'è nulla che possa consentire la condanna da parte del giudice di ultima istanza, quanto mai responsabile e super partes». Le dimissioni «sono un doveroso atto di affetto nei confronti di Berlusconi, di vicinanza umana, di solidarietà. L'ipotesi di far cadere il governo non l'abbiamo ancora discussa. Di certo non resteremo indifferenti, inermi». «Siamo alla vigilia di un giudizio universale» e nella «improbabile ipotesi» di condanna, «oltre alle dimissioni formali dei parlamentari scatterebbe la mobilitazione di piazza del popolo italiano che sta con Silvio».
Naturalmente in una situazione di così grande tensione non è possibile dare nulla per scontato. Tra le voci provenienti dal partito non si incontrano aperte dissonanze, anche se in realtà una tesi diffusa è quella di mettere il mandato nelle mani di Berlusconi affinché sia lui a decidere il da farsi. «Se fino ad ora il presidente Berlusconi ha dato la linea della responsabilità, del silenzio, del rispetto, da dopo il 30 luglio tutto ciò non potrebbe non valere più per quegli oltre 10 milioni di italiani che certamente non rimarranno in silenzio se si verificasse questo attentato alla democrazia», avverte Daniela Santanchè. «Quando la storia politica di un Paese è appesa a una sentenza, siamo di fronte a un cortocircuito democratico» scrive in una nota Anna Maria Bernini. «I cantori dell'odio che per vent'anni hanno praticato l'uso politico della giustizia, rischiano di mettere in gioco non il destino di un singolo uomo ma la libertà di tutti. Perché un Paese dove si pensa seriamente di mettere dietro le sbarre un leader politico e di archiviare una larga porzione di consenso popolare, è un Paese non libero e che fa paura». «L'atteggiamento da vero uomo di Stato assunto da Berlusconi in questi ultimi mesi è da guida per tutto il Pdl. E lo sarà ancora di più nelle prossime ore» dice Maurizio Gasparri. Per Mariastella Gelmini «quello che accadrà il 30 non è questione privata, ma interessa militanti, simpatizzanti e avversari. Fermo restando che sarà Berlusconi a decidere le mosse successive al 30 luglio rimane l'ansia per una sentenza che potrebbe danneggiare il Paese». Infine Maurizio Sacconi.

«La vicenda giudiziaria di Berlusconi interessa tutti perché investe principi elementari di libertà che il Pdl ha il dovere di difendere sempre». Insomma, per dirla con Osvaldo Napoli, «assoluzione o condanna, quella sentenza sprigionerà conseguenze. Dopo il 30 luglio cambierà tutto».

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