La Curia dà l'altolà a Pisapia L'unione civile favorisce i poligami

Per ricordare parole così dure e mirate pronunciate dalla curia di Milano occorre tornare al «regno» del cardinale Dionigi Tettamanzi e ai suoi interventi contro la Lega circa le esternazioni dei suoi uomini in merito agli immigrati. Oggi molte cose sono cambiate sotto la Madonnina, ma le stoccate della diocesi guidata dal cardinale Angelo Scola, seppure con obiettivi diversi, sanno pungere in eguale misura. Imputata è la giunta di Giuliano Pisapia e un progetto dal sindaco fortemente voluto: quello del registro sulle coppie di fatto. «Introdurre un registro comunale delle unioni civili è un'iniziativa inefficace, forse solo un'operazione d'immagine che potrebbe favorire la poligamia fra gli immigrati», ha detto Mattia Ferraro, vicepresidente dell'Unione giuristi cattolici di Milano. Alfonso Colzani, responsabile del Servizio per la famiglia della diocesi, interviene in una riflessione pubblicata oggi su Milano7, il settimanale della Chiesa ambrosiana in edicola con Avvenire: «È invece la famiglia a richiedere sostegno in questa fase di crisi economica. Il concetto di matrimonio ha una sua precisa specificità e storia millenaria. Non può essere confuso con le unioni omosessuali». E poi le parole più dure, per certi versi impietose, a segnare una spaccatura importante - come un de profundis - tra Palazzo Marino e la curia di piazza Fontana: «Probabilmente questa giunta in qualche modo deve saldare alcuni "debiti" verso una parte di elettorato che l'ha sostenuta».
Le parole di Colzani sono precise, mirate. E fanno male. Senz'altro sono state concordate con Scola che sul tema della famiglia non sembra intenzionato a retrocedere di un millimetro rispetto alla posizione ufficiale della Chiesa. Che il tema sia particolarmente sentito in curia, del resto, non è una novità. Già poche settimane fa, prima che Papa Benedetto XVI arrivasse a Milano per la giornata dedicata alla famiglia, il clima si era surriscaldato per delle esternazioni del ministro Elsa Fornero dedicate proprio al concetto di famiglia tradizionale che, disse, «rischia di diventare un'eccezione». L'uscita del ministro aveva provocato la reazione stizzita di Avvenire che aveva spiegato con durezza che la Fornero «non è legittimata a parlare di famiglia». Ma la posizione di Avvenire suonava anche come un monito per tutti quei Comuni intenzionati a legiferare in merito autonomamente, senza cioè aspettare decisioni nazionali. E, infatti, è ancora la curia meneghina a ricordare oggi che «questi temi vanno affrontati con calma e dal Parlamento e non da un singolo Comune. Le famiglie che hanno sancito la loro unione con un matrimonio, sia civile sia religioso, in Italia sono nell'ordine della decina di milioni contro le 500 mila convivenze. Il sostegno è da indirizzare a chi con il matrimonio si prende impegni pubblici e stabili verso la società diventandone una risorsa».
A leggere l'intemerata curiale sembrano parecchio lontani i tempi in cui il cardinale Tettamanzi cercava sul tema delle coppie di fatto una sua «terza via» che sembrava voler restare lontana dalla chiamata alle armi di coloro che, anche in diocesi, venivano definiti gli «intransigenti ruiniani». Milano era - oggi lo è ancora? - fin dai tempi del cardinale Giovanni Battista Montini, il futuro Paolo VI, un centro di quel cattolicesimo democratico che cercava di coniugare i dettami della fede con le esigenze dello Stato laico. Tettamanzi aveva parole di apertura per coloro che, «giovani e non giovani», avevano scelto la via della convivenza. Certo, anch'egli non benediceva le coppie di fatto in quanto tali, ma le sue aperture sulla convivenza avevano un sapore preciso.
Oggi quei tempi sembrano lontani. Le parole della curia dedicate in particolare al rischio di poligamia che verrebbe dall'iniziativa della giunta Pisapia, hanno suoni e colori del tutto diversi. Secondo la curia «potrebbero crearsi delle diseguaglianze (nel matrimonio i coniugi assumono dei precisi doveri che si protraggono oltre al matrimonio stesso mentre nell'unione civile è sufficiente abbandonare la coabitazione per vedersi liberati da qualsivoglia obbligo di assistenza verso il partner) e c'è il rischio che equiparare famiglia fondata sul matrimonio e unione civile porti a legittimare la poligamia». L'uomo poligamo immigrato a Milano, di fatto, «potrebbe richiedere il riconoscimento della propria convivenza con tutte le sue mogli come unione civile, posto che il registro non limiterebbe tale unione solo a quella tra due persone. Il Comune di Milano, che non si propone solo di registrare bensì anche di tutelare e sostenere le unioni civili, finirebbe così per tutelare e sostenere un istituto quale la poligamia che nel nostro ordinamento è ritenuto contrario all'ordine».
Già parlando davanti al Papa nel suo recente viaggio a Milano, Pisapia aveva fatto capire che se la Chiesa avesse battagliato sul tema delle coppie di fatto, altrettanto avrebbe fatto lui. Pisapia disse che «sono le diversità che definiscono i nostri tempi. Diversità di cultura, di credo; di benessere e di possibilità di vita. Diversità di razze, di colori, di speranze. La diversità non può e non deve essere motivo di scontro. Può e deve essere fonte di aggregazione, di ricchezza, di unità.

E, comunque, a tutte e a tutti deve essere garantita parità di diritti». In curia, come in Vaticano, quelle parole fecero drizzare diverse antenne, antenne che oggi, alla prima avvisaglia, hanno iniziato a funzionare.

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