Roma - Nel giorno della decadenza di Berlusconi, Matteo Renzi tace, e Enrico Letta celebra.
Ora il premier si sente «più forte», come annuncia convocando la stampa a Palazzo Chigi. E indubbiamente lo è: si è liberato di Forza Italia e del marchio berlusconiano sul suo governo, e può contare su un Nuovo Centrodestra alfaniano che è più deciso di lui a tenere in piedi il governo a qualsiasi costo, e che dunque non gli porrà alcun problema e approverà disciplinato tutto quel che il premier decide, «pure l'introduzione dei soviet», è la perfida battuta di Matteo Renzi. Ma la medaglia ha anche un'altra faccia: da oggi, le sorti del governo dipendono soprattutto, se non unicamente, dalle decisioni del Pd. E da domani, alla guida del Pd ci sarà appunto Renzi. Il quale, fanno notare i suoi, «al Senato conta su almeno una quindicina di suoi fedelissimi: più dei voti di maggioranza che, con tutti i senatori a vita, ha avuto Letta sulla legge di Stabilità».
Una minaccia? «Diciamo uno strumento di pressione - spiega uno di loro -; ora Letta ha noi come azionista di riferimento e, come gli ha spiegato Matteo, dovrà fare quel che noi diciamo e che ci intesteremo come risultati del Pd. Non può farne a meno». Altrimenti, «finish», come ha avvertito Renzi da Prato. Peraltro, secondo i supporter del sindaco, c'è poco da festeggiare per l'espulsione di Berlusconi: «Certo, è decaduto per via giudiziaria e legislativa. Ma per sconfiggerlo politicamente serve ben altro: ci vogliono le elezioni», dice il senatore Andrea Marcucci.
Da domani, insomma, il match sul governo si giocherà tutto in casa Pd. Non a caso l'alfaniano Roberto Formigoni si mostra assai preoccupato e denuncia: «Le affermazioni di questi giorni del sindaco di Firenze sono state devastanti: se non fossero solo propaganda congressuale, e pensasse davvero di far fibrillare il governo e di portarci magari ad elezioni anticipate, si ricordi che in Italia chi lo fa viene punito dagli elettori».
Di certo, d'oggi in poi i renziani non si faranno sfuggire nessuna occasione per far pesare la propria presenza rispetto all'esecutivo e incalzarlo. «Ma adesso i sottosegretari di Berlusconi si dimettono? I presidenti di commissione di Berlusconi si dimettono? Se non dovesse accadere si aprirebbe una falla», dice per esempio Angelo Rughetti.
«Ma chi pensa di scavalcare Letta deve stare molto attento: quello è un vero coniglio mannaro», se la ride il cuperliano Nico Stumpo, rievocando la definizione coniata da Pansa per Arnaldo Forlani. Ieri Letta ha annunciato un giro di «consultazioni» coi partiti di maggioranza dopo l'8 dicembre: una sorta di riconoscimento al futuro segretario del Pd, ma anche un modo per incastrarlo subito in un accordo a sostegno dell'esecutivo. Gli uomini del premier nel Pd si mostrano molto sicuri di sé: «Matteo dovrà star buono e sostenere il governo. Anche perché voglio vedere quanti, nei gruppi parlamentari, lo seguirebbero se provasse strade avventurose...», dice uno di loro. Il senso è chiaro: le file parlamentari del Pd sono piene di eletti non renziani, che temono fortemente che il sindaco non li ricandiderebbe e quindi «si legano alla poltrona» piuttosto che rischiare il voto anticipato.
Ma Roberto Giachetti avverte: «In giro per il paese, la nostra base è inferocita per i tanti compromessi ingoiati in nome del governo, e il caso Cancellieri è stato l'ultima goccia: i parlamentari del Pd lo sanno, e sanno che con quella gente dovranno fare i conti. Soprattutto se si vota la prossima primavera, col Porcellum, e si faranno le primarie per i parlamentari».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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