Fassino, il pignolo che fa piangere tutti

Scorbutico e maestrino fino all'insolenza, è temuto per i suoi scatti d'ira. Il Pd lo considera un brocchetto ma è il solo che il segretario ascolti

Fassino, il pignolo che fa piangere tutti

Dopo essere andato tentoni per oltre sessant'anni, Piero Fassino ha trovato la sua strada. Sindaco di Torino da un biennio, l'ex segretario ds piace pure agli avversari. È stato votato sindaco più amato d'Italia dai concittadini, mentre i colleghi in fascia tricolore lo hanno eletto al vertice dell'Anci, l'associazione di categoria. Al coro si è aggiunto il più peperino tra loro, il sindaco fiorentino e neo segretario del Pd, Matteo Renzi. Invece di rottamarlo come ogni ultracinquantenne che gli viene a tiro, per lui - nonostante le sue sessantaquattro primavere - Renzi è pronto a fare eccezione. Se non gli ha dato la poltrona di presidente del partito come si vociferava (toccata a Gianni Cuperlo per ragioni di corrente), se lo tiene stretto ritenendolo il solo vecchio di cui valga l'ascolto. Questo momento d'oro, ammanta Piero di un lustro nuovo poiché in passato - anche all'apice della carriera - era considerato più un brocchetto che un purosangue. Paradossalmente, il segno del successo di Fassino sindaco è che diverse magistrature - ordinaria, contabile, amministrativa - hanno cominciato a ficcanasare nel municipio torinese. Il Consiglio di Stato ha bocciato un concorso per dirigenti comunali giudicandolo pilotato e infarcito di favoritismi, mentre altre iniziative giudiziarie sono in corso. Tutte hanno un elemento in comune: l'aria aperta che Fassino, col suo ingresso nel 2011, ha fatto entrare a Palazzo Civico, dando il via allo smantellamento del «sistema Torino». Simile al «modello Roma» di veltroniana memoria, il «sistema Torino» è l'intreccio tra capataz comunali e maneggioni della «società civile» che ha irretito la città guidata dalle giunte di sinistra dei Castellani e Chiamparino. Le quali, aldilà dei meriti - che ci sono, specie con la reggenza Chiamparino - avevano creato centri di potere incontrollati diventati bubboni. Fassino, per esempio, si è imbattuto nel caso di un mercato coperto, in cui i commercianti facevano comodamente i loro affari ma ai quali il Comune aveva dimenticato per un decennio di chiedere il canone di locazione delle botteghe. Una complicità dall'alto, costata alla città minori entrate per più - pare - di mezzo milione di euro. Bene, tutte cose - mi garantiscono osservatori in loco - che col nostro Piero sono agli sgoccioli. Una ramazza che, se fa inviperire i furbi, piace agli onesti. L'altra cosa che ha colpito invece me, è il piglio con cui Fassino ha preso a pedate il patto di stabilità che impediva al Comune di usare a vantaggio della città i suoi denari. Il patto - invenzione che ci viene dall'Ue, per il rispetto dei soliti parametri del tre per cento e compagnia - avrebbe costretto il Comune a non pagare i fornitori, come ha colpevolmente fatto lo Stato con i propri. Fassino, senza tentennare, e d'accordo con l'assessore al Bilancio, Gianguido Passoni, economista all'università, ha scelto di assoggettarsi alla multa di rito pur di rispettare gli impegni. Al governo centrale ha versato una contravvenzione di una trentina di milioni, ma intanto ha pagato i debiti contratti con gli imprenditori per cifre molto più alte. Con due vantaggi: difendere l'onore della municipalità col mantenere la parola e iniettando denaro nell'economia cittadina con palpabili effetti anticrisi. Alle elencate virtù di Fassino, fa da contraltare il suo carattere notoriamente ispido. Alto 1,92, soprannominato Grissino per la magrezza, ipertiroideo e sovraeccitato, Piero è scorbutico, permaloso e maestrino fino all'insolenza. Anni fa, in una riunione di partito, ebbe uno scontro con la conterranea Livia Turco tanto duro che la ragazza (allora) scoppiò in lacrime. Fassino, che dirigeva i lavori, si alzò e disse perfido: «Sciogliamo la riunione e lasciamo che la Turco pianga». Le sue esplosioni di stizza sono frequenti. Lo riconosce lui stesso che però si assolve: «Chi si sfoga mangiando, chi bevendo, io lo faccio con gli scatti d'ira. Ma tornano presto a volare gli uccelli e si rafforza il rapporto umano». Sul fatto che mangi poco o si distragga lasciando il cibo nel piatto, ha costruito una leggenda sapientemente alimentata. «L'affetto della gente per me dipende proprio dalla mia magrezza, dal fatto che sembro una persona tormentata», ha osservato, completando il ragionamento con uno spruzzo di patriottismo cittadino: «Sono nato a Torino e sono sabaudo. Sono alto e magro e ho questa immagine un po' calvinista, tipica di chi è vissuto in una città forgiata dall'etica del lavoro». In effetti, passa sedici ore il giorno a Palazzo Civico, essendo insonne per via dell'ipertiroide. Lo staff è allo stremo. In più, è meticoloso come un filologo tedesco. Mette becco su tutte le pratiche, perché solo lui sa. Pignolo al punto che sulla porta dell'ufficio - di tutti gli uffici che ha avuto nella vita - scrive il suo nome intero: «Piero Franco Rodolfo Fassino». È così da sempre. Nelle assise di partito - dal Pci, al Pds, Ds, Pd - controllava prima del via la disposizione di sedie, luci, microfoni. In casa, deve essere lui a sparecchiare e riempire la lavastoviglie in base a un proprio metodo, mentre ad Anna Serafini, la moglie - la seconda, la prima era una giornalista, Marina Cassi - è lasciato il governo dei fornelli e lo sforno di torte di castagne e altre specialità dell'Amiata di cui è originaria. Anna è stata anche lei parlamentare del Pci e sigle successive per ben cinque legislature che aggiunte alle altrettante che Piero ha trascorso a Montecitorio fanno, a occhio e croce, una pensione di ventimila euro del nucleo familiare (non hanno figli). Di famiglia benestante - il padre era concessionario dell'Agipgas per il Piemonte grazie a Enrico Mattei, mitico patriarca dell'Eni, suo compagno nella Resistenza - Piero ha frequentato il Classico dai Gesuiti e si è laureato in Scienze politiche alle soglie dei cinquant'anni, nel 1998. «Ho ripreso un percorso interrotto nel 1971 per la politica. Fa parte della mia etica non lasciare una cosa a metà», spiegò. L'educazione cattolica gli è rimasta. È credente e segue, sia pure laicamente, i dettami della Chiesa. Così, si è dichiarato contrario all'eutanasia e all'adozione di bambini da parte di coppie gay. Politicamente è equilibrato e ha insultato il Cav con parsimonia tanto da stizzire Nanni Moretti che sbottò: «Con questi dirigenti non vinceremo mai» riferito a lui allora segretario Ds (lo è stato dal 2001 al 2007).

Sul Piero che fu ci sarebbe molto altro da ricordare, compresa - ma eviterò di farlo - la famosa telefonata: «Abbiamo una banca?». Il nocciolo è che Torino ha un sindaco decente e io, da romano male amministrato, la invidio.

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