Fedele al comunismo fino al delirioil commento 2

di La notizia della morte di Prospero Gallinari colpisce e addolora perché la biografia che riporta alla luce è una biografia diversa da tutte le altre, anche da quella degli altri terroristi, che condivisero con lui la sanguinosa stagione del terrorismo rosso. Gallinari fu, con Morucci, Fiore e Bonisoli, uno degli esecutori della strage di via Fani nonché carceriere di Aldo Moro. Eppure la sua vita fu diversa da quelle dei suoi compagni: troppo più demente, troppo più tragica. Non si è mai pentito, ha sempre ritenuto di aver ragione, è stato in carcere, è evaso e alla fine, dopo altri anni di prigione, è stato scarcerato a causa delle cattive condizioni di salute - dovute, sembra, alle ferite riportate durante uno scontro a fuoco. Gallinari si è sempre considerato in guerra con lo Stato, né ha mai compiuto, almeno a livello visibile, alcun «percorso interiore» di ripensamento. Moretti lo definì «il più comunista» di tutti i Br: figlio di una famiglia contadina e comunista da sempre, mantenne la propria radice contadina cocciuta e intransigente. Ma tanta determinazione non si può interpretare solo fedeltà ad oltranza a un'analisi giusta ma perdente. Gallinari, secondo Moretti, si attribuì l'uccisione di Moro per la sua totale identificazione con il Proletariato: poiché il Proletariato aveva condannato a morte Aldo Moro, e sempre il Proletariato aveva eseguito la condanna, lui (fosse o no l'esecutore materiale) aveva condannato e ucciso il leader democristiano. Una follia. Ma anche una disperata identificazione con un paradiso senza tempo, simile ai folli ideali estetici di quelli che cadono nel gorgo dell'anoressia. Sono le biografie come quella di Gallinari a interessare gli scrittori ancora desiderosi di smascherare l'indulgenza ipocrita di chi crede che un teorema buono e giusto sia sufficiente a ricomporre le discordie. No. Nessuna dea Atena ha votato per il proscioglimento dei matricidi: lo strazio rimane e questo lo sa benissimo anche chi - con eroismo - tenta oggi, a distanza di tanti anni, un cammino di ripresa. Ci sono ex-terroristi che hanno stabilito rapporti forti e drammatici con i familiari di chi un tempo subì la follia ideologica di quella stagione. Ci sono uomini che sono riusciti a diventare amici, o quasi, di chi ha ucciso i loro padri. Tanto gli assassini di un tempo (per i quali in qualche modo è stata fatta giustizia) quanto le vittime (che nessuna giustizia o quasi hanno ricevuto da un sistema che sa - a volte - punire ma non sa risarcire), conoscono bene le ferite che hanno ucciso Prospero Gallinari. E conoscono l'amarezza e la solitudine infinita con la quale devono convivere: è difficile infatti riconciliarsi col proprio passato senza dover ammettere di aver gettato via tutte le possibilità di vivere una vita veramente umana. Senza credere in un Dio con la d maiuscola, è ben difficile accettare tutto questo in nome della legalità.

Rimanendo fedele a oltranza, fino alla demenza, alla propria idea di giustizia, Prospero Gallinari non ha potuto evitare la più triste delle sorti: quella di vivere in un mondo dove ciò che per lui era «ingiustizia» e «male» ha trionfato definitivamente. Unica soddisfazione: quella di non aver ceduto. Ma, come c'insegna il Capaneo dantesco, nessuna soddisfazione è più amara di questa.

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