Gianfranco Fini, se non fosse stato appunto Gianfranco Fini, non osiamo neppure pensarlo. Eppure il suo ex colonnello Ignazio La Russa non riesce a «trattenere il pensiero che da tempo ho in mente: ciò che mi fa più male è pensare a cosa Fini poteva essere e a cosa invece è». E le ciglia s’inumidiscono, e la mente viene invasa dal vago sentimento di nostalgia che prelude all’amarezza per le cose perdute per sempre e che mai ritroveremo. Ma che si può definire anche spleen e, dunque, per la medicina greca degli umori, melanconia che deriva dalla bile. O forse, come nel Talmud ebraico, invece più legata alla milza, come organo del riso.
Cistifellea e milza, bile nera e riso.
Resta il fatto incontrovertibile di ciò che Fini oggi è, frutto maturo di quel ragazzo che, uscendo dalla proiezione di Berretti verdi , s’immedesimava in John Wayne e ammetteva di «non avere precise opinioni politiche». Finendo, però, in odio ai rossi che l’avevano preso a «spintoni, sputi, calci e strilli», e dunque per questioni di bile, a iscriversi alla Giovane Italia, organizzazione giovanile del Msi.
Piacque a Giorgio Almirante, quel giovanotto flessibile e perbene, tanto che gli concesse persino la frequentazione di casa. Non sappiamo se avesse libero accesso al frigorifero (come Martelli a casa Craxi) - che di sicuro doveva interessargli poco o punto, magrocom’era - ma da lì prese le mosse la parabola che oggi lo propone biecamente in una fase melanconica, appunto piena di bile, depressa, oppressa dagli errori compiuti che ne hanno lardellato persino i fianchi, incerta sulla strada da seguire. Il ragazzo, come dicevano quelli del Msi, è nato con la camicia: come una lucertola al sole sul ciglio del burrone, vince se resta immobile e finché c’è il sole. Ma se passa una nuvola, ed è costretto a un qualsiasi scatto, precipita nel nulla.
D’altronde diventò segretario del Msi senza battere un ciglio (che a quei tempi magari significava pure menar le mani). Quando nell’88 Almirante morì,lasciandolo solo, dopo appena due anni perse un congresso già vinto. Fu solo grazie ai notabili del Msi, dopo una scoppola elettorale presa da Pino Rauti, che risalì a cavallo. E grazie a Mani pulite che si ritrovò candidato a sindaco di Roma, e grazie a Berlusconi al governo. Nel frattempo, aveva preso la sua prima decisione (quasi) autonoma, e aveva seppellito il primo partito, il Msi. Più avanti ne prese una seconda, volendosi distaccare dal re di Arcore, e cercò di farsi trainare dall’Elefantino di Mariotto Segni. Cadde nel precipizio dell’ininfluenza. Ne venne tirato fuori ancora da Berlusconi, per il secondo governo. Di cui un giorno era vicepremier e l’altro antipremier.
Quando il sole andava oscurandosi, prese il predellino berlusconiano per una «comica finale».Eppure finì lo stesso nel Pdl, non provando disagio e non senza aver seppellito anche il secondo partito, quell’Alleanza nazionale che senza Tatarella pareva un corpo senz’anima.Ancora una volta,coerentemente, provò a fare di testa sua: non gli fu perdonato. Non essendo riuscito a seppellire la terza creatura, il Pdl, ne volle una quarta, tutta sua, prodotto di bile nera più che di materia grigia. Futuro e libertà, che i nemici parafrasarono subito in «futuro in libertà». Esattamente ciò che accade ora che lo stesso leader ha ammesso che il Terzo polo «non è più attuale » senza esserlo mai stato, che Casini è troppo furby per lui e Rutelli non valeva un tubo. Cerca nuove alleanze, dice, e guarda a Bersani. Avrebbe considerato pure Vendola, se fosse stato dell’area del governo Monti e non tenace oppositore. Si dice che per lui, Bersani e Casini abbiano già in serbo un posto in Europa, tanto per sottrarlo alla pena delle esequie del terzo partito, il Fli, alle future elezioni.
Delle ultime vicende, presidenza della Camera compresa, parlano le cronache. Spentosi il sole, Fini si tormenta nello studio di Montecitorio: cosciente che è tempo di azione, ma anche che ogni movimento gli arreca nocumento. Fattosi amico di Pisanu, ne ha sponsorizzato la candidata al Cda Rai, Flavia Piccoli Nardelli: più che un’esponente della «società civile », figlia di un segretario Dc mai dimenticato. Quello dei «piccoli, storti e malfatti», slogan irridente che metteva in braghe di tela la Balena bianca che fu. Persino il contestato ex presidente della Vigilanza, Riccardo Villari, che rispetto a lui dovrebbe avere le proporzioni di una pulce, ne irride gli spasmi legalitari: «Chi, Fini? Sorprende che proprio lui oggi si indigni e difenda il voto libero e secondo coscienza.
All’epoca della mia presidenza si prestò al gioco dei partiti...altro che doveri di garanzia istituzionale ». Bile e riso, riso e bile.
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