Il flop di Grillo: rivoluzione-farsa

Piazza semivuota per il comizio del comico a Parma. La sua bravata da giullare a fine carriera è al capolinea: la gente ha smascherato il bluff

Ho scritto e detto che Grillo è un flop con qualche anticipo sulla piazza semivuota di Parma (notizia di ieri). L'ho detto perché a me piace far ballare i cretini. Adoro il loro sorriso quando li inviti a un giro di balera, e tutti eccitati ti seguono in pista. Ora Grillo, furbetto, si aggira sotto il palco del suo similpartito, in una piazza dove si deve discutere di inceneritori, roba da cremazione e da toccarsi, e spiega che lui non vuole il 15 per cento, che non vuole sostituire una classe dirigente con un'altra, che vuole fare la rivoluzione, vuole il 100 per cento, e lui, uomo dei miracoli in rete, lui che parla solo con la televisione danese, lui già sa che oggi quelle carogne dei giornali italiani diranno che il comizio è fallito. Si chiama coda di paglia. Si dice mettere le mani avanti. Le rivoluzioni si fanno con un altro stile, sono diverse dalle farse. Spero che il titolo del Giornale sia: Grande «forno» di Grillo a Parma, piazza semivuota, in trecento si bruciano con l'inceneritore, o titolo migliore, più squillante, ma equivalente.
C'erano state elezioni amministrative parziali, quando mi ero permesso di far ballare i cretini dicendo che Grillo aveva fatto flop nonostante le sue sorprendenti percentuali. Berlusconi aveva mollato, e i suoi voti erano naturaliter in libera uscita, ci mancherebbe. La sinistra aveva fatto una figura di cacca, perché a Berlusconi non c'era alternativa visto che il Pd era una succursale di talebani e moralisti di quart'ordine, non un partito di governo. Al posto del leader eletto alle elezioni, in condizioni disperate di emergenza economica e finanziaria, il vecchio presidente della Repubblica aveva messo un professore stimato della Bocconi che aveva assunto il compito di farci rigare dritti, almeno per una stagione, come fossimo tutti tedeschi, e giù tasse, pensioni più tardi e a condizioni dure, contributive, e piccoli argini, ma minacciosi, ad antichi e amati privilegi.
In tutto questo, ed erano elezioni di sfogo in cui non si decideva niente di così importante, a parte il sindaco di Sarego o di Parma, un comico che fa scompisciare dal ridere da trent'anni decide di fare la rivoluzione del vaffanculo, attira nella trappola il dolce e connivente pubblico di piazza, giornali e televisioni, intimidisce a forza di insulti le molte loffie comparse di proscenio della politichetta romana, erige il vilipendio a regola, si scatena contro ladri e parassiti di ogni risma e con parolone sempre più grosse, e prende qualche voto in più della Bonino al suo massimo. E sai che successo.
Ora, sulla scia di questa performance banalmente eccitante, con tutti i politologi scemi che fingono di pensare il problema molto complesso del «significato del grillismo», aggrottando molte sopracciglia, è venuto fuori: che Grillo ha un boss ideologico di nome Casaleggio, e già la risonanza è col formaggio; che questo leader annidato nell'ombra è un businessman, ciò che è legittimo ma strano per un «movimento di civiltà» (così si definisce per i grulli il Grillo) impegnato in una rivoluzione; marketing a parte, emerge che questo Casaleggio, dotato di volto e parrucca parlanti, la più imbarazzante coiffure nella intera storia delle rivoluzioni, è percepito dai suoi come una specie di caporale di una Scientology minacciosa e vendicativa, e bisogna rifugiarsi nel trucco della candid camera per cercare di scappare al giustiziere della rete, come hanno fatto e stanno facendo i dissidenti che speravano in un albergo a 5 stelle e si sono ritrovati in una cosa a metà tra la caserma e il manicomio: insomma, si è capito che Grillo a 5 stelle è una colossale buggeratura, e in confronto spiccano per sobrietà perfino i partiti e i gruppi consiliari che festeggiano con aperitivi da 1.500 euro e maschere disegnate sulla testa di maiale (questo forse è troppo: lo ritiro).
Ripeto quel che credo di sapere anche troppo bene, per via dell'esperienza e dell'occhio allenato. Grillo è un attore a fine carriera, muore di noia. Si inventa una bravata con spirito guascone da barzellettiere antiregime; siccome il varietà di Pippo Baudo in cui cominciò la sua carriera al servizio di Ciriaco De Mita non si porta più, Grillo si fa imprestare una ideologia dell'eguaglianza in tempo reale sul web, la prima cretinata che passa per la testa a chi leggiucchi le rivistine americane wired (dalle parti della Casaleggio & Associati queste sono le letture prevalenti) e su quel volano risibile fa vibrare la sua meravigliosa e spiritosa arte dell'insulto universale: risultato un po' di voti, e replicabile a breve ma con mortifera irrilevanza. Quando avrà portato trenta o cinquanta Pizzarotti a Montecitorio e a Palazzo Madama, ben inteso per farci fare un salto di civiltà, subito si diffonderà nelle istituzioni che hanno visto i trionfi di Guglielmo Giannini e Cicciolina quell'aria da Politburo denunciata dai grillini in Sardegna o da comitato di disciplina e di vista lunga sul business politico, come dicono altri dissidenti, e ci accorgeremo finalmente che il vecchio attore annoiato ci ha fatti un poco fessi, senza grandi conseguenze, e anche divertendoci un poco. Ma la rivoluzione sarà ancora una volta rinviata. Non si può fare in Italia, diceva un giornalista carogna come Mario Missiroli, perché ci conosciamo tutti.

segue a pagina 11

Galli a pagina 11

di Giuliano Ferrara

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