I carabinieri sono eroi soltanto se bloccati in un letto d'ospedale

Quando sono feriti o morti, per gli uomini in divisa sgorgano lacrime di coccodrillo. Ma quando lavorano...

Il brigadiere Giuseppe Giangrande, ferito davanti Palazzo Chigi da un colpo d'arma da fuoco al collo
Il brigadiere Giuseppe Giangrande, ferito davanti Palazzo Chigi da un colpo d'arma da fuoco al collo

Il carabiniere in verticale fa un certo effet­to. Orizzontale, sul letto d’ospedale o al­l’obitorio, ne fa un altro. C’è sempre una via di mezzo per lo stesso servitore dello Stato che da 200 anni s’immola per la sicurezza e la tranquillità dei cittadini tutti, inclusi quegli ambasciatori della violenza che in nessun al­tro Paese al mondo godrebbero di tali e tante immunità giu­diziarie, coperture politiche, giustificazioni mediatiche. Quando appuntati e mare­scialli cadono nell’adempi­mento del proprio dovere – si dice sempre così - puntuali sgorgano lacrime di coccodril­lo, ipocrite solidarietà istitu­zionali, visite ai feriti e condo­gli­anze sentite a vedove e orfa­ni dell’Arma. Dopodiché, sem­pre succede che la memoria si resetti per voltare immediata­mente pagina e per ricomin­ciare, alla prima occasione, da dove si era rimasti: a sputare sull’uniforme nera bordata di rosso.
Accadrà ancora. Anche do­po i commenti stucchevol­mente esaltati alle toccanti pa­role della dolce Martina Gian­grande, figlia del carabiniere ferito a Palazzo Chigi, una del­le figlie di questa grande fami­glia­militare che per i soli scon­tri in Val di Susa ha dovuto pre­stare attenzione a più di 200 uomini (altrettanti sono i poli­ziotti) usciti dai boschi della Tav con le ossa rotte, le teste sfasciate, le divise ustionate. «Spero che quanto successo a mio padre faccia capire un po’ di cose a tutti, far riflettere e far sì che tante cose possano mi­gliorare », ha detto Martina.
Chissà se ci si ricorderà di lei, e del suo testamento, quan­do un altro appuntato finirà presto ferito o bersagliato da pietre, accuse gratuite, cagna­re ideologiche. Sarà curioso vedere cos’avranno da dire questi stessi politici che un tempo partecipavano ai cortei dei cattivi antagonisti al grido «10, 100, 1000 Nassirya» mili­tando in Rifondazione comu­nista o nei comunisti italiani. Gente che oggi simpatizza per Sel o Cinque stelle e si dice a fianco dei giovani in divisa, fi­gli del popolo come li intende­va Pasolini. Gente abituata a distribuire disprezzo sulle for­ze dell’ordine «cilene», emet­tere condanne preventive, in­vocare la piazza e il pubblico ludibrio fino a chiedere l’intro­duzione del reato di tortura, l’avvio di commissioni d’in­chiesta, la testa delle più alte gerarchie militari.
Non è retorica spicciola o di­fes­a acritica dei difensori in gi­berna e bandoliera. È quanto accade oggigiorno, ormai, al pubblico ufficiale oltraggiato senza pietà, trascinato alla go­gna eppoi in tribunale per aver reagito a una sprangata, risposto al fuoco, per essere in­tervenuto come poteva in con­dizioni di emergenza. Certo, il carabiniere che sbaglia deve pagare.Quest’ovvietà nascon­de però una realtà cui nessuno fa più caso: tra un black bloc e un carabiniere, tra un pentito di camorra e un carabiniere, tra un ultras e un carabiniere, tra un clandestino, un tossico o un cittadino qualsiasi e un ca­rabiniere, si tende a credere sempre meno al carabiniere. Chiedete alle rappresentanze militari, ai marescialli di sta­zione, all’ufficiolegale del Co­mando generale.
La realtà supera l’immagina­zione, l’impunità e latolleran­za calpestano ogni regola di legge e di buon senso. I carabi­nieri, come la polizia, fanno fa­tica a tornare quelli di un tem­po. Perché nessuno li difende, perché rischiare il processo ol­tre alla pelle, non conviene a nessuno. Fedeli nei secoli, ma mica fessi visti i precedenti. La politica sinistra che piange i carabinieri baluardo della de­mocrazia, è la stessa che li ha crocifissi al G8 di Genova, mu­linando la clava sul povero Pla­canica che per difendersi spa­rò a Carlo Giuliani, ergendosi a scudo della moltitudine che devastò un’intera città con­trapponendosi allo Stato in as­setto antisommossa.
Senza saperlo Martina ha da­to voce ai figli e alle mogli dei 1.482 cristiani di servizio allo stadio o nelle piazze usciti mal­conci negli ultimi tre anni, di cui nessuno s’è preoccupato mai. Ha parlato alla politica, perché chi tollera intenda. S’è rivolta a chi vuol rendere rico­noscibili i carabinieri in ordi­ne pubblico ma permette alla prole fighetta degli intellettua­li d’accatto di scendere in piaz­za, coperta in volto, armata di mazze e bombe carta. Senza volerlo ha chiesto di essere più seri, a tutti.

Anche a chi pensa davvero che lo Stato debba risarcire la famiglia di un carabiniere ammazzato in servizio con soli 234mila euro quando alla mamma di un ra­gazzo morto per l’intervento «colposo» delle forze di poli­zia sono appena andati 2 milio­ni di euro.

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