I pm spiano troppo e non pagano le spese

I pm spiano troppo e non pagano le spese

MilanoSarà che dello strumento, nel corso degli anni, è stato fatto largo uso. Sarà che i soldi sono quelli che sono (cioè pochi). Perché se è vero che le intercettazioni sono uno strumento di indagine spesso decisivo, è anche vero che bisogna pagarle. E così finisce che il ministero della Giustizia venga commissariato. Motivo? I debiti accumulati con una delle più importanti società che forniscono le apparecchiature destinate a far funzionare il «grande orecchio» della Procura di Milano.
Una battaglia legale lanciata dalla Area spa, colosso delle intercettazioni con sede nel varesotto che proprio nella Procura guidata da Edmondo Bruti Liberati (nella foto) ha uno dei più importanti committenti. L’Area fornisce un servizio di noleggio degli impianti per l’ascolto delle telefonate, di cui i pubblici ministeri milanesi fanno uso nel corso delle investigazioni. Funziona così: quando la Procura mette sotto controllo delle linee telefoniche o dispone intercettazioni ambientali, lo fa utilizzando le apparecchiature fornite da poche e selezionate ditte private. Tra le principali c’è la Rcs, a cui si sono rivolti i pm milanesi per il Rubygate, indagine che stando ai rendiconti ufficiali è costata 26mila euro per gli «ascolti». C’era la Ies, fallita qualche anno fa. E c’è appunto l’Area, azienda di Vizzola Ticino che dal 2008 gestisce il 70% delle intercettazioni autorizzate in Italia, e per le quali ha accumulato un credito complessivo di 160 milioni di euro.
Per il servizio l’assegno lo stacca il Ministero, cioè lo Stato. O almeno, dovrebbe. Perché Area spa, tra i tanti ritardi nei pagamenti, sta ancora aspettando che le venga versata una cifra che si aggira intorno al milione e 200mila euro di soli interessi legati agli obblighi contratti dai magistrati del capoluogo lombardo.
Con qualche ritardo, in realtà, via Arenula ha coperto il debito in linea capitale dovuto per gli impianti noleggiati dalla Procura di Milano, e che superava i 9 milioni di euro per gli ultimi cinque-sei anni. Nel frattempo, però, sono maturati gli interessi. E quelli sono rimasti in sospeso. Così, Area ha fatto ricorso al Tar della Lombardia, che ha registrato come «al 12 giugno 2012 l’amministrazione non ha ancora adempiuto» a versare la somma residua. Per questo, si legge nella sentenza del tribunale amministrativo depositata solo pochi giorni fa, «non resta al Collegio che nominare quale commissario ad acta il dirigente generale del settore competente del ministero della Giustizia, con facoltà di delega a funzionari di sua fiducia, affinché, previo accertamento della perdurante inottemperanza dell’amministrazione ingiunta, provveda entro 60 giorni» a liquidare il debito non ancora saldato.
Il ministero ha provato a metterci una toppa, presentando un ricorso al Consiglio di Stato in cui sosteneva che «i decreti liquidatori di cui veniva chiesta l’ottemperanza non contenevano alcuna previsione relativa agli interessi». Gli è andata male. Con la sentenza del 7 giugno scorso, infatti, il massimo organo della giustizia amministrativa ha fatto notare come tra via Arenula e Area spa si sia banalmente «in presenza di un contratto di locazione di beni mobili», cioè di «una ordinaria transazione commerciale» da cui «derivano obbligazioni a carico di entrambe le parti». Da un lato la ditta è tenuta a «consegnare le apparecchiature», mentre «il pagamento del canone costituisce l’obbligazione principale» per lo Stato. Il problema è che il costo delle intercettazioni in Italia si aggira intorno ai 300 milioni di euro l’anno, gran parte dei quali divorati per sostenere proprio le spese per il noleggio delle apparecchiature destinate all’ascolto delle telefonate e per pagare le compagnie che gestiscono le linee. E così il ministero della Giustizia - così come la pubblica amministrazione in generale - fatica a fare fronte agli impegni presi con i privati. Finché un giudice - come in sostanza ha fatto quello del Tar lombardo - spedisce in via Arenula un decreto ingiuntivo.


Da Area spa - contattata dal Giornale - hanno preferito non rilasciare dichiarazioni. Di sicuro c’è che a oggi quel milione e passa di interessi accumulati non l’hanno ancora visto. E più passa il tempo, più il conto si fa salato.

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