I Pm trascinano Napolitano in aula

I Pm trascinano Napolitano in aula

Altro che sobrietà. Altro che «senso del limite» delle toghe, auspicato qualche giorno fa dal presidente della Repubblica. I pm di Palermo, i limiti, li superano tutti. E a dispetto della Consulta, che ha dato loro torto nel conflitto di poteri sorto con il Quirinale sulle intercettazioni del capo dello Stato, alzano il tiro e mirano, dritti, al Colle: Giorgio Napolitano, per loro, deve deporre al processo forse più infamante per le istituzioni, quello sulla trattativa Stato-mafia per fermare le stragi del '92 e del '93.
Il siluro al Quirinale è arrivato ieri, per bocca del pm Nino Di Matteo, durante la seconda udienza del processo. Ma, a sorpresa, è avvenuto un fatto nuovo: il deus ex machina dell'indagine, il protagonista, da pm, dello scontro col Quirinale, è ritornato in campo, e come parte attiva. Antonio Ingroia, già pm titolare del caso e ora leader di Azione civile nonchè commissario di una società della Regione siciliana, ha debuttato come avvocato di parte civile. Un colpo di scena. Quasi un commissariamento per la stessa Procura, che ora si trova sorvegliata, visto che ha tra le controparti chi quell'inchiesta ha ideato e gestito sino all'udienza preliminare; quasi un pm «aggiunto» per i difensori degli imputati, che si ritrovano un avvocato che è stato l'accusatore dei loro assistiti. Sicuramente un'anomalia. Ma a Ingroia, sorriso sornione per i riflettori riconquistati in quello che continua a considerare il «suo» processo, sembra tutto normale: «Sono emozionato come uno scolaro al primo giorno di scuola – dice – ma lusingato di difendere interessi di familiari di vittime che hanno il diritto di conoscere la verità su questa oscena trattativa. Le polemiche? Non mi interessano». E il pm «aggiunto» (ha usato la sua vecchia toga), il novello avvocato Ingroia, ha cominciato a farlo subito, in aula. Opponendosi alla richiesta dell'avvocato dello Stato Giorgio Dell'Aira di respingere la deposizione di Napolitano. Ingroia, a nome dell'associazione Vittime di via dei Georgofili (che quando aveva lasciato la toga per la politica lo aveva accusato di tradimento), ha lanciato un appello «a tutti gli alti vertici dello Stato e delle istituzioni chiamati a deporre perché vengano per dire la verità e non si nascondano dietro a una distorta interpretazione del segreto di Stato che, al contrario, sarebbe un'incomprensibile omertà di Stato».
Di cosa dovrebbe parlare Napolitano? Le intercettazioni della discordia - quattro colloqui di Napolitano captati indirettamente, quando non era indagato, con l'ex ministro Nicola Mancino, ora imputato di falsa testimonianza - non esistono più, sono state distrutte. Ma, per il pm, Napolitano deve essere interrogato «per approfondire i timori del dottor Loris D'Ambrosio», il consigliere giuridico di Napolitano stroncato da un infarto nell'estate del 2012. Dubbi contenuti in una lettera inviata da D'Ambrosio a Napolitano il 18 giugno del 2012 e resa nota dallo stesso capo dello Stato, in un volume dedicato alla memoria del suo collaboratore scomparso. In quella missiva D'Ambrosio si diceva preoccupato «di essere stato considerato solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi». E nella replica il capo dello Stato gli ribadiva la sua stima. L'avvocato dello Stato, come parte civile, si è opposto: sia alla deposizione di Napolitano sia all'acquisizione delle intercettazioni tra D'Ambrosio e Mancino, sostenendo che quei dialoghi sarebbero coperti dalla stessa riservatezza che tutela il presidente della Repubblica. Giusto per non farsi mancar niente, i pm citano anche la seconda carica dello Stato, il presidente del Senato Pietro Grasso, ex procuratore antimafia.

Pur con la scena rubata dal suo ex pm Ingroia, si è conquistato la ribalta ieri anche Massimo Ciancimino, già teste chiave dell'inchiesta e ora accusato di mafia, che ha denunciato minacce. Prossima udienza il 10 ottobre.

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