I poliziotti ridotti a fare collette: "Ci tocca pure risarcire i teppisti"

I sindacalisti Siulp rivelano: dopo ogni manifestazione piovono gli avvisi di garanzia per le denunce dei fermati. "Siamo soli a difenderci nei processi e a pagarci gli avvocati"

I poliziotti ridotti a fare collette: "Ci tocca pure risarcire i teppisti"

Roma «Lo sapete come passo buona parte del mio tempo? A organizzare collette per pagare le parcelle degli avvocati che ci difendono dalle accuse di lesioni. Non ne possiamo più». Massimiliano Trombetta è rappresentante del sindacato di polizia Siulp nel reparto mobile più a rischio incidenti di tutto il Paese, quello di Roma. Ogni manifestazione, corteo, derby, Massimiliamo e i suoi compagni celerini sono sempre lì, a fare da cuscino tra tifoserie avversarie, a sbarrare strade e piazze, a organizzare cariche di alleggerimento. Sempre, o quasi, con l'ansia che li assale.

Prendiamo gli ultimi «scontri», quelli per lo «sciopero europeo» di mercoledì scorso. «La sveglia - racconta Trombetta - è suonata alle 4.30, sono andato al reparto, ho indossato la divisa, ho preparato le protezioni, la maschera antigas e sono andato a ritirare il materiale in armeria per uscire. L'unica cosa certa, è che nelle mie intenzioni e in quelle della mia squadra non c'era quella di prendere sassate, dare manganellate ai manifestanti e respirare lacrimogeni. Ma questo purtroppo spesso avviene a dispetto delle nostre intenzioni». E le conseguenze possono essere disastrose. Anche se l'articolo 32 della Legge Reale prevede che l'amministrazione rimborsi le spese legali per i tre gradi di giudizio, quando un poliziotto finisce sotto processo per uso delle armi o della «coazione fisica» in servizio, le collette di cui l'agente del Siulp parlava all'inizio sono spesso indispensabili. Sia perché, per mancanza di fondi, l'avvocatura dello Stato rimborsa solo in minima parte le spese sostenute. Sia perché, in caso di condanna per dolo, l'amministrazione quei soldi - e spesso sono tanti, gli avvocati costano - li rivuole indietro, fino all'ultimo centesimo. Sulla carta il principio è sacrosanto. Il problema è che il rischio di finire condannati, a prescindere da come ci si è realmente comportati, secondo gli agenti è molto alto. «Dal G8 in poi - continua il rappresentante dei celerini romani - ogni volta che durante operazioni di ordine pubblico facciamo fermi o arresti, automaticamente i firmatari del verbale finiscono indagati. Questo perché il fermato, anche se ha solo un graffio o un livido dovuti all'aver resistito all'arresto, chiede sempre di essere refertato. E anche se il pronto soccorso certifica prognosi lievissime, di 4-5 giorni, la pratica finisce in Procura e, in automatico, pochi giorni dopo arriva l'avviso di garanzia per lesioni agli unici poliziotti «individuabili», ossia quelli che hanno firmato il verbale. Non scherzo, è quasi certo: anche se non ci sono filmati o testimoni, il magistrato ti indaga davvero in automatico. E lì comincia il calvario». Tanto che ormai molti poliziotti e carabinieri per evitare guai preferiscono limitarsi a cariche di alleggerimento, astenendosi però dal fermare i manifestanti con i quali si sono appena scontrati anche se ne hanno la possibilità.

Insomma, possibile che non funzioni il vecchio adagio male non fare, paura non avere? Possibilissimo, secondo Trombetta. «Il problema sono le regole di ingaggio, poco chiare o inesistenti. Se ci viene ordinato di disperdere manifestanti protetti a testuggine, con gli scudi, come è capitato sul Lungotevere l'altro giorno, in che modo dovremmo comportarci? Dobbiamo usare i manganelli? E se pure non li usiamo, ma spingendo scudi contro scudi qualcuno dall'altra parte si rompe un labbro, siamo da indagare per lesioni o stiamo facendo il nostro dovere? La confusione regna sovrana, e questa incertezza finisce per avvilirci. Io mi chiedo come facciamo a trovare ancora la forza di andare in servizio, visto che non siamo tutelati in nessun modo da questi rischi. Sono 23 anni che faccio questo lavoro, e mai come in quest'ultimo periodo è diventato difficile». La chiacchiera finisce in sfogo: «Ormai - conclude Trombetta - lo sport preferito da tutti sembra essere gettare fango su di noi.

Nessuno è dalla nostra parte. Siamo stufi, demotivati, frastornati. Qualcuno ci dica in che modo dobbiamo lavorare, per poterci muovere serenamente, senza pensare di dover vendere la propria casa per pagare avvocati e danni».

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