È l'alfa e l'omega di tutte le nostre sofferenze sociali: semplificazione. È da questa parola che dobbiamo partire per comprendere quant'è grande il dramma individuale e collettivo in Italia, da questo slogan che tutti usiamo per sciacquarci la bocca, paradigma di tutte le riprese e di tutte le riscosse annunciate, ma immancabilmente (...)
(...) disatteso e svilito da quel totem mostruoso che è la nostra burocrazia.
Anche per la dichiarazione dei redditi «semplificazione» è la password che ci viene proposta da almeno trent'anni, come pre-requisito essenziale, come incentivo all'encomiabile versamento e come deterrente alla fetentissima evasione. Ci raccontano ogni volta che bisogna cambiare il rapporto tra fisco e contribuente, tra Stato e cittadino, perché questa è la base per qualunque convivenza civile. Ci sventolano sotto il naso l'idea spaventosamente bella che un giorno ciascuno di noi riceverà un semplice foglio con sopra scritta una semplice cifra, caro amico per scuole, ospedali, strade, forze dell'ordine eccetera dovresti contribuire con una cifra pari a tot, in base alle tue entrate e al tuo patrimonio. Ci blandiscono con questa utopia, ci prendono eternamente per il naso (convinti che lì abbiamo un anello), e nel frattempo il dramma si perpetua, di generazione in generazione. Annaspavano i nostri nonni, poi i nostri padri, poi noi, ora cominciano ad annaspare i nostri figli: pagare le tasse, anche - soprattutto - per i contribuenti più onesti e più fedeli, è comunque un'angoscia cupa e un rompicapo insolubile. Non a caso, sono mosche bianche, veri e propri eroi del nostro tempo, ma forse anche un po' masochisti, quelli che ancora provano a compilare da soli la dichiarazione dei redditi. A parte questi martiri, tutti reclutiamo la badante, nella persona dell'amico ragioniere, commercialista, azzeccagarbugli, oppure ci precipitiamo in coda davanti agli sportelli di patronati, associazioni, sindacati che certo la sanno molto più lunga di noi. Paghiamo anche cifre cospicue, per questa incombenza fatale, le paghiamo più volentieri di quelle che versiamo a dentisti e carrozzieri: cosa non si fa per essere a posto con il fisco e dormire moderatamente tranquilli. Eppure lo sappiamo bene, non c'è niente che davvero possa metterci al riparo da grane e incubi successivi. Per quanto esperto, anche il nostro esperto di fiducia può distrarsi, gli può scivolare la mano, può confondersi, così da aprire poi l'abisso tetro del richiamo e del contenzioso. Non c'è bisogno che lo spieghi io il sentimento paralizzante che assale gli italiani quando aprono la cassetta della posta e scorgono tra la pubblicità delle lavatrici e il dépliant delle verze biologiche quella busta bianca con la finestrella trasparente in alto, dalla quale appare minacciosa la terrificante «A» maiuscola dell'Agenzia delle entrate. Ci mandasse pure - faccio pura fantascienza - un biglietto d'auguri, quella A maiuscola scatena subito effetti incontrollabili, per dire quale razza di fesseria ci raccontano quando sostengono che c'è un nuovo rapporto tra fisco e contribuente: frequenza cardiaca parossistica con grande desiderio di avere sottomano un defibrillatore, salivazione azzerata, lingua salmistrata, fantasie depressive e suicide. E poi sappiamo com'è: tra tutte le macabre ipotesi che possiamo subito imbastire sui due piedi, quella contenuta nero su bianco nella lettera riesce sempre ad essere molto peggio.
Adesso i Befera-boys ci vengono pure a raccontare che siamo contribuenti impiastri: su tre dichiarazioni, due sono sbagliate. Cosa vorremmo dire, che è uno scandalo? Data la «semplificazione» raggiunta, io sinceramente mi chiedo che razza di fenomeno sia quell'uno su tre che non sbaglia niente. Questo è il vero dato eclatante: grande Italia, un contribuente su tre riesce a superare l'impossibile, compilando senza sbavature il demenziale questionario. Mi piacerebbe conoscerli tutti di persona, questi miti, per capire il prodigio intellettuale che si nasconde nella loro psiche. Ma che livelli di «Q.I.» raggiungono? Ma quale mamma ha potuto partorire creature tanto virtuose? Ma cosa aspettiamo a inventarci un reality tv che li riprenda minuto per minuto mentre creano il capolavoro?
Direttore Befera, si metta il cuore in pace.
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