L'antipolitica di Grillo? Si ispira al Quirinale

Il paladino della comunicazione alternativa scimmiotta il discorso di fine anno

L'antipolitica di Grillo? Si ispira al Quirinale

Roma - E se il «Grillo per la testa» (sigletta musicale di ogni suo intervento sul blog) fosse l'entrata al Quirinale dal portone principale? Più che un'irrealizzabile ambizione, per ora si tratta solo di perfetta scelta dei tempi mediatici: così il Beppe più «anti» della nazione recita un contro-messaggio di fine anno che rovescia come un calzino quello di Napolitano. Anzitutto per l'ambientazione: una specie di sottoscala della casa di montagna, alle spalle l'abete decorato (spento, si presume per risparmiare) e la perlinatura in listarelle di legno (qualità Ikea). All'arazzo cinquecentesco, alle bandierone d'Italia ed Europa, all'abat-jour Ottocento, al leggio con Costituzione e scrivania in bordatura di pelle, Grillo contrappone un angolo buio, un filmato di qualità pessima. In pratica, quello che avrebbe realizzato un qualsiasi elettore tipo di Cinque stelle.

Verve e linguaggio, quelli di sempre, tendenti alla confidenza intima. Allo sfogo tra amici. Contro tutto e tutti, contro «questa gente... che non se ne vogliono proprio andare dopo aver disintegrato il Paese». La prima medaglia sfoggiata dal Capo è quella di essere un'«assicurazione sulla vita» per la Casta. «Se ci impediranno con la burocrazia o con altri mezzi di partecipare alle elezioni, ci aspetta un nuovo fascismo, un'Alba dorata all'italiana. Se ne devono andare: se non sarà il Cinque stelle con le buone, arriverà qualcuno che lo farà con le cattive...». I nemici sono destra e sinistra, ma oggi in particolare chi mette in pratica la teoria del «colpettino di Stato»: dunque il premier Monti, «ex consulente di Cirino Pomicino ministro del Tesoro che fece esplodere il debito pubblico». Un tipo che si è «sfiduciato da solo senza sentire neppure l'obbligo di farlo di fronte alle Camere». E poi, Giorgio Napolitano, che «denuncia i guasti della politica della quale vive dagli anni '50» e che dopo aver insediato Rigor Montis, ha consentito un anticipo delle elezioni che gli consente «di scegliere il prossimo presidente del Consiglio, lui vuole Monti e Monti sarà». Anticipo che non permetterà agli eletti di M5S di avere voce in capitolo e che, ammette, «ci ha messo in crisi». Pazzesco, ripete come di consueto Grillo, «cambiano le leggi per non farci entrare, sono bari di democrazia». Si ride, naturalmente, come quando parla dell'aiuto di due studi di avvocati «che mi costano l'ira di dio, uno è già in analisi, ma solo grazie ai quali ci siamo potuti raccapezzare tra tutte le norme...».

Abbondano contumelie verso i politici, «ciarpame, malfattori, ladri, Berlusconi mentitore professionale, Bersani ha governato per dieci anni»; i loro «servi delle televisioni»; i consoli all'estero che boicottano la raccolta di firme.

Appelli a informarsi, richiami identitari, la proposta (abbastanza nuova) di una commissione d'inchiesta sull'arricchimento dei politici, per accertare «quanto avevano prima, durante e dopo. Se i conti non quadrano, il surplus venga restituito ai cittadini». Populismo e demagogia? Certo. Cabaret? Pure. Ma il materiale circostante, diciamo, non aiuta. O, meglio, aiuta fin troppo.

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