"Nessuno all'inizio credeva che gli Stati generali della natalità potessero coinvolgere il papa, il presidente del consiglio e il mondo delle imprese italiane. È un lavoro iniziato otto anni fa". Gigi De Palo, per otto anni Presidenza Nazionale del Forum delle Associazioni Familiari, oggi a capo della Fondazione per la Natalità, racconta così l'evento più importante sul tema dell'inverno demografico che si terrà a Roma l'11 e il 12 maggio prossimo.
Cosa rappresentano quest'anno gli Stati generali della natalità?
“Sono l'occasione per bloccare il paese due giorni per parlare di natalità. Il tema è uscito dal silenzio ed è diventato importante tanto quanto l'intelligenza artificiale. È una sorta di essere una sorta di brain storming al servizio del paese su come risolvere questo grande problema della natalità. Siamo invitati tutti: il mondo delle banche e delle imprese dello spettacolo dello sport di media delle associazioni mondo tecnologica per cercare di risolvere questo problema dandoci un obiettivo certo perfetto”.
Ritiene che sia anche merito del suo operato come presidente del Forum delle famiglie?
“Dietro c'è un grande investimento in termini proprio di energie. Io ci ho messo il corpo, le idee e l'energia. Non l’ho fatto per la mia visibilità, ma per i nostri figli. Tutto questo nasce dall'urgenza di avere dei figli e dal voler provare a lasciare un Paese dove non crolla tutto. Il mio merito, forse, è quello di aver trasformato il tema assegno di politiche familiari in un tema che è capace di unire il Paese e di aver messo d’accordo tutti perché è stato votato all'unanimità".
A tal proposito, l’assegno unico è un risultato sufficiente oppure sperava in qualcosa di meglio?
“L'assegno unico non è una nostra idea ma di alcuni parlamentari. Noi ci siamo semplicemente fatti in quattro per fare in modo che fosse votato all'unanimità. È un inizio importantissimo e il governo ha fatto bene ad aumentarlo già in questa legge di bilancio. È un'opportunità per aiutare veramente le famiglie. Non servono bonus o mancette. I figli che oggi vengono messi al mondo saranno quelli che pagheranno la pensione anche a chi non ha figli e finanzieranno, con le tasse, il sistema sanitario di una popolazione sempre più anziana”.
Il prossimo obiettivo si chiama ‘quoziente familiare’?
“Oggi su Repubblica c’è un articolo interessante che parla di un sondaggio da cui emerge che il 72% degli italiani è convinta che per far ripartire la natalità bisogna non far pagare le tasse a chi ha figli o comunque farne pagare di meno. Il prossimo obiettivo è una fiscalità che tenga conto della composizione della famiglia e quindi del peso dei figli. Ora non vorrei che la parola quoziente familiare sia diventata ostile, perciò, chiamiamolo anche con un altro modo, ma resti il concetto che bisogna ridurre le tasse per le famiglie”.
Perché, secondo lei, la locuzione quoziente familiare non piace?
"Il quoziente familiare viene visto come qualcosa che non aiuta il lavoro femminile e che va a privilegiare i redditi alti. Sono tutte fandonie e basta vedere la Francia che la realtà è totalmente il contrario e che, anzi, il quoziente familiare favorire l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro. Noi l’abbiamo chiamato ‘fattore familiare’, ma comunque i nomi non ci interessano. Ci interessa che ci sia una fiscalità che tenga conto della composizione familiare e di spesa dei figli. Lo Stato deve considerare l’avere dei figli come un aspetto positivo che ha a che fare col bene comune”.
I primi passi del governo Meloni vanno nella direzione giusta?
“È stato importante che il presidente del consiglio quando ha preso la parola alla Camera dei deputati abbia detto in maniera inequivocabile e chiara come nessun premier fatto in passato che il tema della natalità e delle politiche familiari è determinante per il futuro del Paese. Già nella prima legge di bilancio qualcosa è stato fatto. È un segnale importante, ma sicuramente va fatto di più. Sono fiducioso, però, sono anche molto concreto perché le cose poi vanno valutate sulla concretezza e non sulla base di una questione ideologica. L’obiettivo è arrivare a 500.000 nuovi nati entro il 2033 e ciò significa aumentare le nascite ogni anno di 10mila unità. Se si raggiunge significa che le politiche messe in campo stanno funzionando altrimenti bisogna cambiare strategia”.
Qual è il contributo che possono dare i migranti per fermare l’inverno demografico?
“Da una parte ci sono le politiche familiari che servono per evitare l'emigrazione degli italiani all'estero e cioè che nostri figli vadano a realizzare i loro sogni lavorativi e familiari fuori dall’Italia. Dall'altra parte però c'è il tema dell'immigrazione che è collegato alla natalità. Dobbiamo trovare un modo per gestire e non subire l’immigrazione e uscire dalla dinamica ideologica del no immigrazione oppure no politiche familiari. Servono entrambe.
I dati che abbiamo presentato la scorsa settimana per lanciare gli Stati generali hanno mostrato come i migranti servono, ma non bastano. Anche se si aumenta il numero dei migranti non cresce il numero delle nascite, ma solo il numero delle persone che da quest'anno vivranno in Italia”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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