Lavoro, la mini-riforma è sempre meglio dell’immobilismo

La legge poteva essere migliore ma bisogna avere il coraggio di decidere. E questa è una decisione

Lavoro, la mini-riforma è sempre meglio dell’immobilismo
Quindi la benzina si poteva ribassare. Bisognava pren­dere una decisione, e Pao­lo Scaroni capo dell’Eni l’ha pre­sa. Quanto di più semplice. A prez­zi del petrolio calanti, si fanno sconti agli automobilisti, ai camionisti eccetera. Uno comincia, e scatta la concorrenza. Gli altri entrano in lizza per il ribasso. Si corre ver­so il meglio, verso il razionale, e il prezzo scende ancora un poco. Le compagnie non è detto che ci per­dano, certo non in modo incompa­tibile con i loro opulenti bilanci, anzi. Si stavano evidentemente formando scorte pericolose, in certi momenti le città sembrava­no un deserto pietrificato. Ed è fini­ta quella storiella secondo cui è colpa delle accise, è sempre colpa di qualche fattore sovraordinato agli interessi, sempre colpa del simbolico fisso, lo Stato, il gover­no, il potere, il prezzo è immutabi­le, rigido,intoccabile se non all’in­sù. Magari arriverà un intervento pubblico, sarebbe auspicabile, e invece dell’aumento dell’Iva avremmo una scala mobile al ri­basso su tutti i costi, un movimen­to anticiclico assai utile in tempi di recessione. Una volta la benzi­na era un prezzo amministrato e stava nel paniere della scala mobi­le, qualcosa è cambiato struttural­mente nel nostro modo di vivere, solo che raramente ne approfittia­mo n­ell’esercizio delle libertà eco­nomiche.

Scaroni è stato un buon pedago­go. Ci ha fatto la lezione. Proceden­do cauto e silenzioso, improvviso, e appunto decidendo in un Paese in cui si decide sempre niente. La lezione non vale solo per il pieno dell’auto,che è un barometro del­la fiducia del consumatore o della sua depressione, o del Tir, che tra­sporta le merci, vale in generale.

I colleghi del Wall Street Jour­nal­scrivono un giornale troppo in­telligente per non incorrere talvol­ta in sonore fesserie. Dicono che la legge sul mercato del lavoro irri­gidisce le assunzioni, e sfottono. Certo loro vivono in un sistema, american style, in cui tutti i lavora­tori sono precari, il capitalismo li­berale si assume l’onere e il ri­schio sociale dentro una cultura fondativa che lo consente, e lo ri­versa sulla famiglia, sull’indivi­duo, sulla società americana. Si as­sume e si licenzia liberamente, perché si pensa, con qualche ra­gione, che il lavoro viene prima di tutto, tanto è vero che Obama è già un ex presidente perché l’occupa­zione negli Stati Uniti non è ripre­sa a sufficienza per legittimare il suo secondo mandato, ma si pen­sa anche altro: il lavoro si crea con il traino della competizione indu­striale, della concorrenza che fa bene, non con gli ausili di Stato o le rigidità corporative. Rispetto a quel modello, la legge sul mercato del lavoro che si appresta, salvo sorprese, ad essere varata dal Par­lamento su proposta di Elsa Forne­ro, è un buffetto al sistema del wel­fare, ed è anche carica di rischi, co­me ci ricorda sempre la pigra Con­findustria (la boiata).

Ma questo è il Paese che è, non il Paese che una minoranza vorreb­be che fosse. Da noi precariato è una parola malata, che sa di de­pressione sociale, non allude alla durezza della vita ma alla cattive­ria di classe del sistema economi­co, da noi la difesa del posto, co­m’è e dov’è, senza se e senza ma, è stata per mezzo secolo e più una regola che non ammetteva nien­te, nemmeno un legittimo inseri­mento di regole per la dismissio­ne dei lavoratori capace di creare mobilità, competizione, regole di produttività in grado di reggere i mercati aperti e il loro destino. Per creare lavoro, appunto.

Quella regola questa legge la in­crina. E per equilibrio cerca di sta­bilizzare per quanto possibile, con gradualità, le situazioni di pre­cariato che una lunga campagna ideologica ha trattato come fosse­ro lo spaventapasseri di una inte­ra generazione perduta. Quella legge, cari colleghi del WSJ , è una decisione, che va nella direzione giusta, nella direzione esattamen­te contraria all’italian style che vi fa rabbrividire.

Le cose si possono fare. Sareb­be stato meglio se il governo aves­se deciso per decreto, se la facoltà di licenziare per motivi economi­ci fosse stata affermata con mag­giore caparbietà e minori conces­sioni al malvezzo di fare ammini­strare da magistrati e sindacalisti la nostra comune libertà, e alcune buone cose precarizzanti, che hanno creato lavoro e molto in Ita­lia, insomma alcune misure dei provvedimenti ispirati da Marco Biagi, forse andavano salvate. Ma bisogna decidere, e quella è una decisione, come il ribasso della benzina, come l’innalzamento dell’età pensionabile,come la sta­bilizzazione di conti pubblici, co­me gli inviti alle riforme struttura­li nel senso della società aperta.

Un giorno decideremo di gioca­re la carta fiscale all’anglosasso­ne, chissà, non ci si è riusciti nem­meno negli anni delle vacche gras­se tanta è la voglia italiana che lo Stato faccia da babbo e da mam­ma, questo è il momento di gover­nare

l’emergenza per lo sviluppo economico, sapendo che le no­stre decisioni da sole non risolvo­no niente, ma tutte insieme sono l’unica cosa che possiamo fare per invertire la tendenza.

Decidete, decidete, qualcosa re­sterà.

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