Il leader allergico ai protocolli: rivoluzionati tutti i cerimoniali

Dal discorso negli Usa letto prima agli inservienti della Casa Bianca, alle soste in autogrill per incontrare la gente

Il leader allergico ai protocolli: rivoluzionati tutti i cerimoniali
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Washington, 28 febbraio 2006. Berlusconi è ospite alla Blair House, la residenza riservata ai capi di Stato e di governo e alle delegazioni che soggiornano nella capitale Usa per le visite ufficiali. Il giorno dopo è in programma il suo intervento al Congresso degli Usa in sessione plenaria, come ospite d’onore, uno dei momenti più alti della sua carriera politica. La sera prima però il premier italiano spiazza lo staff con una iniziativa estemporanea delle sue. Invece di tenere riservato il discorso che farà il giorno dopo ai membri del Congresso e al mondo intero, fa chiamare il personale addetto al servizio e inizia a leggerlo davanti a loro. Come se fossero le prove generali, per verificare come poteva essere accolto dalla gente comune. Uno strappo al protocollo, uno dei tanti che hanno caratterizzato la sua parabola da «non politico» insofferente delle rigidità formali previste dal ruolo, soprattutto nelle relazioni con i leader mondiali, lui che insegnava a tutti a memorizzare subito il nome dell’interlocutore per instaurare immediatamente un rapporto più diretto. Allergico al protocollo, anche quello più rigido previsto dal cerimoniale per un capo di governo, lo è stato da subito, e fino alla fine. Quando rientra in Senato, nell’ottobre 2022, dopo i nove anni di «esilio» forzato, sfoggia a Palazzo Madama il doppio petto blu, ma senza cravatta, che invece sarebbe obbligatoria per l’accesso a palazzo Madama secondo il regolamento. Una «gaffe», una «violazione del galateo» scrissero i giornali, puntigliosi nel rimarcare ogni libera interpretazione del Cavaliere come una dimostrazione che non fosse rispettoso della gravitas istituzionale.

I riti sono stati rivoluzionati, alla maniera di Berlusconi. Con lui, ha raccontato Massimo Sgrelli, storico capo del Cerimoniale a Palazzo Chigi fino al 2008, il rito della campanella (il passaggio di testimone da un premier al suo successore) è diventato uno show, «giocava con la campanella, ostentandola davanti ai fotografi. Era uno showman, ci teneva all’immagine». I suoi stretti collaboratori ricordano bene come, durante i viaggi in auto, volesse sempre scendere e fare un giro negli autogrill per salutare la gente. Per la gioia dei suoi capiscorta. Il suo stile informale gli ha procurato anche molte critiche quando applicato nelle occasioni internazionali, dove vige un protocollo particolarmente rigido, opposto all’affabilità naturale di Berlusconi. Specie se ci sono di mezzo i reali. Durante la festa del 2 giugno, nel 2011, il Tg3 fece notare che Berlusconi aveva fatto «una gaffe» con Juan Carlos, re di Spagna, «contravvenendo al protocollo il premier ha toccato il braccio del re, cosa considerata sconveniente». Gli annali sono ricchi di aneddotica di questo genere, dalle «corna» nella foto di gruppo al vertice Ue (solo il presidente della Repubblica Giovanni Leone, prima di lui, aveva osato quel gesto, come scaramanzia durante una visita a Napoli flagellata dal colera), alla celebre gesto della telefonata con cui fece aspettare Angela Merkel durante un vertice Nato (stava parlando con Erdogan), all’invito agli investitori a Wall Street di puntare sull’Italia, perché ci sono meno comunisti e «ci sono molti meno comunisti e abbiamo bellissime segretarie». Le relazioni con i grandi della terra sono state improntate anch’esse all’informalità, per quanto possibile. Dagli inviti a Blair, Putin, George W. Bush ospiti nella sua villa Certosa, in Sardegna, ai complimenti espliciti alla mise di Michelle Obama (altra scena celebre) durante un G7. «Incidenti diplomatici», «gaffe», sgarbi istituzionali, secondo la stampa che non gli ha mai perdonato questo tratto tipicamente italiano.

Che facevano parte del personaggio, appunto, quello del leader simile a chi lo vota, lontanissimo dai politici ingessati della prima Repubblica, allergico anche all’idea di guidare un «partito», termine che non ha mai adoperato per Forza Italia, per lui sempre un movimento, fatto dagli «azzurri», termine che invece amava.

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