Roma - Mancava solo che, parlando di Renzi, lo chiamasse «l'amico Matteo», poi Enrico Letta somigliava in tutto e per tutto al Coniglio Mannaro: come Gianfranco Piazzesi definì Arnaldo Forlani. È passato un quarto di secolo e la Storia si ripete.
La «sfida» del presidente del Consiglio al segretario del Pd è a viso aperto: dura, violenta, ma ovattata; come solo l'esperienza diccì può trasmettere. «Abbiamo avuto un confronto franco», commenta il premier riferendosi all'incontro con Renzi a Palazzo Chigi.
Oggi lo show down nella direzione del partito. «I governi cadono quando non hanno più la maggioranza parlamentare». Formula sibillina: non ha ancora deciso se chiedere un confronto parlamentare per il suo «Impegno Italia» (e cadere con un voto di sfiducia); o se riterrà sufficiente, per dare le dimissioni, la scelta della direzione Pd di bocciare il suo nuovo programma di governo.
Già, perché il presidente del Consiglio ha detto chiaramente che è pronto alle dimissioni. Ma per raddoppiare. Il rimpasto di governo («un aggiustamento», lo chiama) non basta più. Quindi, deve cambiare la squadra. Dice di essere pronto per un bis per portare a termine il suo «Impegno Italia». «Bisogna saper anteporre il bene del Paese alle scelte personali», commenta. Ed il suo governo - ripete - è un governo di servizio. «Dopo questa esperienza - osserva il premier - potrei perfino insegnare pratiche Zen in qualunque monastero».
Prima di trasferirsi, Letta affida agli archivi (difficilmente troverà traduzione normativa) il suo «Impegno Italia». Di colpo, il governo recupera (sulla carta) una trentina di miliardi a sostegno della crescita. Di questi, 9 miliardi sono «ex novo»; cioè, non previsti dalle leggi di Bilancio. Vale a dire: 3 miliardi arriverebbero dalla spending review già quest'anno; altri 3 deriverebbero dal rientro dei capitali; ed altrettanti dal risparmio derivante dalla riduzione dei tassi d'interesse. Questi 9 miliardi verrebbero destinati alla riduzione del cuneo fiscale per i lavoratori (2,25 miliardi) e per le imprese (altri, 2,25 miliardi). Quel che rimane, a finanziare gli altri obbiettivi di «Impegno Italia».
Con capacità aritmetica, poi, gli uomini del presidente del Consiglio sommano tutt'insieme: nuove risorse, accantonamenti della Legge di Stabilità per quest'anno e quelli della legge di Bilancio del 2015, così da arrivare alla cifra di 32 miliardi di euro.
Piccolo particolare. La Legge di Stabilità è stata approvata 50 giorni fa. E nel testo non c'è alcuna contabilizzazione dei risparmi attesi dalla revisione della spesa, come nessun accenno c'è ai risparmi sulla spesa d'interessi, in compenso è «quotato» un euro il gettito atteso dal rientro dei capitali. In 50 giorni, quel che era impossibile, è stato reso possibile.
Ma non sarà Fabrizio Saccomanni a dover firmare simili provvedimenti. Il ministro dell'Economia ha sempre detto che non è disposto a superare il 3% di deficit.
E, chiaramente, se la Ragioneria dello Stato aveva deciso di «non bollinare» tali interventi, difficilmente lo potrà fare un mese e mezzo dopo. Tant'è che Letta parla chiaramente di voler fare un bis; senza Saccomanni.La capacità zen dimostrata da Letta oggi deve superare un'altra prova. Forse l'ultima: o la va o la spacca.
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