L'Europa può uscire dalla crisi solo se applica il modello Tokyo

Il piano del premier giapponese Abe da 116 miliardi di dollari varato in pochi giorni ha creato investimenti, crescita e posti di lavoro

Si è presentato con una cartellina piena di slide per i giornalisti, orgoglioso di annunciare che il suo cognome «è diventato una formula: l'Abenomics». Così il primo ministro giapponese, Shinzo Abe, ha aperto i lavori del World Economic Forum a Davos mercoledì 22 gennaio. E ha rappresentato con grande chiarezza, schematizzandolo in «tre frecce», il modello di politica economica, monetaria e fiscale con cui il Giappone è uscito da venti anni di stagnazione. Quella stagnazione cui si sta «pericolosamente avvicinando l'Europa» in conseguenza delle politiche economiche sbagliate adottate negli anni della crisi, ha scritto Paul Krugman sul New York Times. Eccole, le tre frecce: «politica fiscale flessibile», «una coraggiosa politica monetaria» e «promozione degli investimenti». Sarà una banale coincidenza, ma questi erano gli stessi identici punti su cui si basava il programma di Forza Italia, ai tempi Pdl, presentato alle Politiche dello scorso febbraio. E sono queste 3 le linee direttrici che l'Italia e l'Europa devono seguire se vogliono uscire dalla recessione. Proprio come ha fatto il Giappone.

Politica fiscale flessibile La prima delle tre frecce ad essere lanciata è stata quella della politica fiscale: l'11 gennaio 2013, poco più di 2 settimane dopo l'insediamento, il premier Abe ha varato un piano da 10.300 miliardi di yen (116 miliardi di dollari), finalizzato a un aumento del Pil di almeno 2 punti percentuali e alla creazione di 600.000 posti di lavoro. I 10.300 miliardi di yen sono così composti: 3.900 miliardi sono destinati alla ricostruzione dell'area di Tohoku, devastata dal terremoto e dallo tsunami dell'11 marzo 2011; 3.200 miliardi riguardano misure per la competitività e l'innovazione delle imprese industriali; 3.200 miliardi sono impegnati per la sicurezza sociale, la sanità e l'istruzione.

Obiettivo primario del nuovo premier: risollevare l'economia nazionale. L'esatto contrario delle ricette sangue, sudore e lacrime imposte ai paesi dell'Eurozona sotto attacco speculativo dall'Europa a trazione tedesca.

Coraggiosa politica monetaria La seconda freccia, quella della politica monetaria. Con la stessa tempestività di azione del primo ministro, anche il nuovo presidente della banca centrale giapponese, Haruhiko Kuroda, il 3 aprile 2013, a solo due settimane dalla nomina, ha stravolto la politica monetaria e ha lanciato un piano di stimolo che in 2 anni porterà al raddoppio della base monetaria del Giappone da 138.000 miliardi di yen a 270.000 miliardi di yen (tra 60.000 e 70.000 miliardi di yen in più all'anno); al raddoppio degli acquisti di titoli a lungo termine (fino a 40 anni) del debito sovrano giapponese; all'allungamento della vita media residua di quelli già in circolazione, da meno di 3 anni a circa 7 anni; alla sospensione della regola per cui la banca centrale non può detenere in portafoglio un ammontare di titoli di Stato superiore alla quantità totale delle banconote in circolazione. Quest'ultima previsione porterà a un totale di titoli di Stato in possesso della banca centrale giapponese pari a 290.000 miliardi di yen nel 2014, vale a dire 3 volte la quantità totale di banconote in circolazione nello stesso anno, pari a 90.000 miliardi di yen. Nonostante tutto ciò, l'inflazione in Giappone non supererà il 2%.

Promozione degli investimenti A giugno 2013, infine, è stata lanciata la terza freccia, quella della promozione degli investimenti. Altri 5.500 miliardi di yen, che si aggiungono ai 10.300 miliardi di gennaio 2013, per un totale di oltre 170 miliardi di dollari.

Ecco il piano: sviluppo del commercio estero; riduzione della pressione fiscale, specie per le imprese che investono e che spendono in ricerca e sviluppo; zone a burocrazia zero; incentivi alle fusioni aziendali, specie nei settori altamente frammentati; riforma del settore agricolo; liberalizzazione delle utilities; sviluppo dell'energia nucleare, al fine di ridurre i costi dell'energia elettrica per famiglie e imprese; incentivazione del lavoro femminile; allentamento dei regolamenti edilizi nei centri urbani.

E in Italia? Politica fiscale flessibile. Cosa c'è di più incisivo per la ripresa economica, di una riduzione della pressione fiscale di 5 punti percentuali in 5 anni (dal 45% al 40%) attraverso il taglio della spesa pubblica corrente (attualmente pari a 800 miliardi) di 80 miliardi in 5 anni (16 miliardi all'anno)?

Una coraggiosa politica monetaria. Traslato nella realtà europea: attribuzione alla Bce del ruolo di prestatore di ultima istanza, sul modello, appunto, della Bank of Japan e della Federal reserve americana (ma anche della banca centrale inglese e di quella svizzera).

Promozione degli investimenti: quello che nel nostro piccolo, per l'Italia, abbiamo chiamato nuovo corso, vale a dire grandi opere, infrastrutture, modernizzazione del paese, messa in sicurezza del territorio, economia della manutenzione.

Dal quadro delineato emergono politiche economiche e monetarie molto differenti, quasi opposte, in Giappone, così come negli Stati Uniti, rispetto al vecchio continente. Dai risultati ottenuti, facile capire chi ha ragione e chi torto: al di là delle percentuali, in Usa e Giappone la ripresa è solida e l'economia reale è più in salute rispetto all'Europa, che, invece, è ridotta allo stremo.

Nel report trimestrale sull'Eurozona redatto dalla Commissione europea a dicembre 2013 sono contenute le prospettive di crescita del vecchio continente nei prossimi 10 anni e, da un confronto con gli Stati Uniti, emerge che nel 2023 gli standard di vita dei cittadini europei torneranno ai livelli degli anni 60 e saranno più bassi del 40% rispetto agli standard dei cittadini americani. Il gap sarà dovuto per 2/3 alla bassa produttività del lavoro e per 1/3 all'alto tasso di disoccupazione.

Allo stesso modo, la crescita del Pil dell'Eurozona nei prossimi 10 anni è prevista, sempre dalla Commissione europea, più bassa rispetto agli Stati Uniti di almeno 1,5 punti percentuali ogni anno. Se a ciò aggiungiamo che dai dossier delle Nazioni unite emerge che l'Europa è destinata a diventare l'area economicamente meno rilevante del mondo nei prossimi 20 anni, il cerchio si chiude. La profezia di Paul Krugman sul New York Times è destinata ad avverarsi.

Ma la lezione giapponese ci insegna anche altro: che in pochi mesi si possono cambiare le sorti di un paese.

Cosa che un'Europa miope, masochista, calvinista, ipocrita e balbettante non è riuscita a fare in quasi 6 anni di crisi, nonostante i numerosi, periodici (e inutili) vertici dei capi di Stato e di governo a Bruxelles. Il rischio per l'Europa oggi è, invece, di fare la fine del Giappone prima di Shinzo Abe. Cioè di vivere 20 anni di stagnazione. Grazie Merkel per averci ridotto così.

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