L'islam medievale? Criticato in Africa, difeso a casa nostra

La sudanese condannata a morte per apostasia avrà un nuovo processo. La sentenza della Corte suprema dovrebbe escludere la pena di morte

L'islam medievale? Criticato in Africa, difeso a casa nostra

Meriam Yehya Ibrahim ha 26 anni, è cittadina sudanese, di religione islamica, è incinta all'ottavo mese ed è già madre di un bimbo di appena venti mesi. Un figlio all'anno dunque. Si trova in carcere fin dal mese di febbraio, condannata a morte dai giudici del tribunale di Karthum a causa della sua apostasia. Meriam infatti ha sposato un cristiano, ed è colpevole anche di adulterio, condannata per questo a cento frustate, perché il matrimonio con una persona di diversa religione non è valido. Di quest'uomo, però, il marito, non circolano molte notizie.

Chi è? Quanti anni ha? Quale lavoro svolge? Come mai, pur essendo come tutti i maschi molto più informato della moglie e consapevole della «politica» in atto nel suo paese, non si è preoccupato di quello che poteva succederle? Toccava a lui valutare la situazione e prendere decisioni perché Meriam, come tutte le donne musulmane, dipendeva da lui, dalla sua volontà, tanto quanto ne dipendeva procreando un figlio all'anno.

Dietro ai dati riassunti brevemente in queste poche righe, si nascondono però gli enormi problemi che oggi sussistono in tutte, o quasi tutte le regioni del mondo dove sono presenti in gran numero, o dove sono addirittura maggioranza, le popolazioni musulmane. Il «caso» di Meriam, quindi, non è un caso e bisogna assolutamente che diventi l'occasione per discuterne a livello mondiale, soprattutto da parte dell'Occidente, dell'Europa in particolare, che continua a cullarsi nel «buonismo» che ha indossato come virtù che non vede, non sente, non capisce.

Prima di tutto un fatto: l'islamismo è una religione. Come tutte le religioni è assoluta. Noi non riusciamo più a sentire, a credere in questa assolutezza soltanto perché non «crediamo» più, ma il cristianesimo che mandava le streghe al rogo o che condannava i sodomiti alla flagellazione pubblica, era altrettanto assoluto. Inoltre l'islamismo si fonda sull'Antico Testamento dal quale dipendono, fra tante altre cose, la legge del taglione, ossia la condanna a morte e tutte le varianti di condanne sul corpo, come pure la minorità delle donne e la loro dipendenza dal marito. Bisogna combattere, dunque, adesso, chiamando tutte le donne ad usare il potere di cui godono in Occidente, per chiarire le questioni di principio: l'uguaglianza dei diritti di ogni cittadino, incluse le donne, è in contraddizione con l'islamismo e non si può sperare che non scoppi il conflitto se non con l'affermazione, priva di dubbi, che la legge dello Stato deve prevalere sempre.

In realtà anche in Sudan gli avvocati difensori di Meriam contano di potersi avvalere delle leggi dello Stato «democratico» sudanese, ma non è sicuro che lo Stato voglia mettersi contro la religione.

Non dobbiamo dimenticarci che perfino in Europa lo Stato ne ha poca voglia come dimostrato dal fatto che poco tempo fa Angela Merkel ammise l'esistenza in Germania di tribunali islamici per gli immigrati. Noi siamo inflessibili soltanto sulle norme del Pil.

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