L'offensiva delle toghe: "Formigoni a processo. È il capo di una banda"

Sanità in Lombardia, chiusa l'indagine sul caso Maugeri: il governatore accusato persino di associazione a delinquere

L'offensiva delle toghe: "Formigoni a processo. È il capo di una banda"

Milano - La sanità lombarda come una banda criminale. Alla testa dell'associazione a delinquere lui, il governatore: Roberto Formigoni. È questo il ritratto che la Procura milanese dipinge al termine dell'inchiesta sui rapporti tra la regione più ricca d'Italia e gli ospedali privati che costituiscono un pezzo importante del suo sistema-salute, ovvero il San Raffaele e la fondazione Maugeri. Al termine di una lunga inchiesta la procura chiude il filone principale dell'indagine che da mesi vedeva Formigoni indagato per corruzione. E i pm riservano per l'ultimo atto della vicenda il coup de theatre che fa irruzione sulla ribalta della campagna elettorale: l'accusa di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione internazionale contestata a 15 persone e che avrebbe Formigoni come «capo o promotore».

Insieme a Formigoni sono accusati di fare parte dell'associazione il suo principale collaboratore sul fronte della Sanità, Carlo Lucchina, il direttore generale Nicola Sanese, i vertici della Fondazione Maugeri e due vecchi amici del governatore: Antonio Simone, ex assessore, anche lui vicino a Comunione e Liberazione, e il faccendiere Piero Daccò, quello che ospitava Formigoni in vacanza e sul suo yacht, e che da oltre un anno è rinchiuso in carcere. Sono i rapporti con Daccò - senza passaggio di quattrini contanti, ma con favori e «utilità» che i pm quantificano in circa otto milioni di euro - alla base dell'ipotesi della Procura: le delibere regionali, in particolare quelle che remuneravano con ampia discrezionalità alle cliniche private le cosiddette «funzioni non tariffabili», venivano adottate nell'interesse non dei pazienti lombardi ma delle cliniche private sponsorizzate da Daccò e Simone. Decisioni prese al «Caffè Sanità», come - secondo le intercettazioni - venivano chiamate tra gli indagati le riunioni informali prima della Giunta. Formigoni «quale presidente della Regione Lombardia, garantiva alla Fondazione Salvatore Maugeri, a fronte delle illecite remunerazioni, una «protezione globale e si adoperava affinché fossero adottati da parte della giunta, in violazione di legge e dei doveri di imparzialità ed esclusivo perseguimento dell'interesse pubblico, di anno in anno, provvedimenti diretti ad erogare consistenti somme di denaro e procurare altri indebiti vantaggi economici alla fondazione». I soldi scuciti dal Pirellone si disperdevano poi in tutte le direzioni, tra patrimoni privati e tesoretti occulti che hanno portato le indagini dei pm fino a Singapore. Almeno, dicono i pm, 61 milioni.

L'inchiesta su Formigoni era arrivata al punto conclusivo già da diverse settimane, e la sua chiusura veniva procrastinata in attesa che in Procura si sciogliesse un nodo: prendere tempo, e calare la botta dopo il voto del 24 febbraio? O andare avanti dritti filati, esponendosi alle inevitabili accuse di praticare una via giudiziaria alla campagna elettorale? Alla fine, il procuratore aggiunto Francesco Greco e i suoi pm hanno rotto gli

indugi. Ai diciassette indagati viene notificato questa mattina l'avviso di conclusione delle indagini. Insieme all'avviso, gli avvocati riceveranno un dvd con tutti gli atti dell'inchiesta. Dentro, si dice, c'è di tutto.

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