Mafia, il giudice rifiuta la sentenza scomoda

"No" all'acquisizione del verdetto che ha assolto il generale Mori sugli stessi fatti

Mafia, il giudice rifiuta la sentenza scomoda

La sentenza smonta l'accusa? Fa crollare l'ipotesi dei pm su cui si basa il nuovo processo? E allora non si acquisisce. Anche se, giurisprudenza alla mano, le sentenze, pure quelle non ancora definitive, possono entrare in altri processi come documenti.
Succede anche questo al processo di Palermo sulla presunta trattativa Stato-mafia. La corte d'Assise presieduta da Alfredo Montalto, lo scorso 29 maggio, ha rigettato la richiesta di acquisire la sentenza di primo grado che, a luglio del 2013, ha assolto il generale Mario Mori e il colonnello Mauro Obinu dall'accusa di aver favorito la latitanza di Bernardo Provenzano. Una sentenza scomoda, che è stata al centro di feroci polemiche tra i giudici e i pm che sostengono l'accusa, in primo luogo il procuratore aggiunto Vittorio Teresi. Perché quella sentenza non solo assolve Mori e Obinu, ma stabilisce, nero su bianco, che non ci sono prove che la trattativa Stato-mafia ci fu. Quella sentenza, insomma, smantella le accuse che ora sono alla base del processo sulla trattativa. Processo che, in barba del ne bis in idem, vede ancora imputato il generale Mori per gli stessi fatti.
La richiesta di acquisire come documento la sentenza è stata avanzata dal difensore di Mori, l'avvocato Basilio Milio. Scontato il «no» del pm Teresi, che per le sue esternazioni contro i colleghi quando furono rese note le motivazioni fu bacchettato dall'Anm e costretto scusarsi e a fare dietrofront. Meno scontata, però, la decisione del presidente Montalto. Perché non è inusuale che sentenze non definitive vengano acquisite nei processi. La Cassazione, in vari pronunciamenti, stabilisce i limiti entro cui l'acquisizione di sentenze non irrevocabili è consentita, e cioè per la documentazione, come fatto storico, della decisione ed anche delle vicende in essa rappresentate. Ma il presidente Montalto ha liquidato la questione: «La Corte rilevato che si tratta di sentenza non irrevocabile e che quanto alla prova del fatto storico dell'avvenuta pronuncia in questione è stato già acquisito agli atti il dispositivo della citata sentenza, rigetta la richiesta». Peccato però che il dispositivo sia così scarno da non recare nemmeno i capi d'imputazione.
Un «no» secco. Per una sentenza indigeribile per i pm. «Se fossi un insegnante metterei alla sentenza Mori un 4 meno perché chi l'ha scritta è andato fuori tema», aveva attaccato il pm Teresi quando sono state rese note le motivazioni. Dimenticando però che nel processo Mori sulla mancata cattura di Provenzano, a un certo punto, proprio i pm avevano scaraventato di tutto. Compresi i temi ora al centro del processo sulla trattativa.

Normale, dunque, che i giudici ne parlassero in sentenza, arrivando alla loro conclusione: «L'eventualità che la strage di via D'Amelio sia stata determinata dall'esigenza di eliminare un ostacolo a una “trattativa” in corso tra lo Stato e la mafia è rimasta una mera ipotesi, non sufficientemente suffragata dagli elementi acquisiti».
Uno schiaffo. Ora, il «no» all'acquisizione della sentenza scomoda. Che surriscalda un clima che attorno al processo di Palermo si fa sempre più pesante.

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