Maledizione Brasile sugli azzurri

Sempre loro. Il Brasile è la nostra ossessione. Londra, come Pechino, come Atene. Perdere fa male sempre, con i brasiliani di più

Maledizione Brasile sugli azzurri

Sempre loro. Il Brasile è la nostra ossessione. Londra, come Pechino, come Atene. Perdere fa male sempre, con i brasiliani di più. Sono loro i nostri Giochi proibiti. Maledizione. Eccoli: sembrano quei parenti scomodi, quelli che a Natale arrivano a casa, mangiano, poi fanno il pieno a tombola e se ne vanno col ghigno. La pallavolo è la nostra punizione. Perché pensiamo sempre che sia la volta buona, nel volley. Gliel'abbiamo insegnato noi questo sport, santo cielo. Erano niente, ora sono tutto: sono venuti nei nostri campionati, li abbiamo cresciuti, li abbiamo svezzati, abbiamo lasciato che imparassero. Adesso loro sono fenomeni che ci prendono a pallonate. Da dodici anni li incrociamo e da dodici anni ci battono. Tre Olimpiadi, tre sconfitte: nel 2004 ci tolsero l'oro in finale, nel 2008 ci mandarono fuori in semifinale come ieri sera.

Perché sempre noi? Perché sempre così? Il volley è la vendetta del calcio. È il muro che ci fanno per rinfacciarci il Sarrià di Barcellona. Paghiamo ancora per Paolo Rossi. È lì che è cominciato questo derby eterno. Prima c'era stata la finale di Messico '70. Ci massacrarono e ce ne tornammo a casa convinti che il nostro mondiale fosse finito con Italia-Germania 4-3. È lì, in Spagna, che è cambiato tutto: Paolo Rossi li fece piangere e loro non hanno mai smesso di volersi rifare. Trent'anni dopo non si spiegano come Zico, Falcao, Cerezo e Socrates abbiano potuto perdere quella partita. Guardino meglio e capiranno. Una leggenda dice che a Rio, San Paolo e ovunque nel Paese Rossi fosse evocato come un orco ai bimbi brasiliani nelle favole.

Nel 1994 ai Mondiali americani ci tolsero la coppa ai rigori, ma non gli è bastata. Quella non fu una vittoria vera, lo sanno. La pallavolo è l'eterna rivalsa, buttarci fuori espia il senso di colpa e di vergogna per quella sconfitta di trent'anni fa. Nel 1982 il Brasile non sapeva neanche che cosa fosse il volley. Poi arrivarono Velasco e Bernardi: gli azzurri nel 1990 vinsero un mondiale da favola a Rio e fecero scoprire ai brasiliani che la pallavolo era una cosa seria. Ce li siamo trovati rivali dopo. Li incrociamo, li vogliamo incontrare, li sfidiamo. Vinciamo nelle World Cup, nelle World League, poi arriva il boccone grosso, arriva l'Olimpiade e ci fregano. Sempre loro e sempre a noi. Come se battendo noi dimostrassero la loro forza. Quella che da qui vogliono spingere verso il futuro: 2014 e 2016, campionati mondiali di calcio e Olimpiadi di Rio. Lì, il Brasile vuole arrivare come potenza globale. Si espande, lavora, fa girare la propria economia. Lo sport è la chiave per aprire le porte. Noi siamo in mezzo alla loro strada. Non ci odiano, ma non ci amano. E sì, lo sport è solo parte del derby. I rapporti sono così e così nella politica estera, lo sappiamo. Amici, amici, poi ci tradiscono. Spunta la Francia e scelgono di legarsi a Parigi. Funziona l'economia, con le nostre aziende che lì hanno portato affari e lavoro. Funziona il turismo: gli italiani a Rio sono terzi per presenze. Funziona lo sport dei club, non quello delle nazionali.

Lì cambia tutto. C'è la bandiera e c'è l'orgoglio. C'è la sconfitta del Sarrià. Bisognerà dirgli di smettere di raccontare ai loro figli la storia di un orco chiamato Paolo Rossi. È la loro maledizione che è diventata la nostra.

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