Il montismo sdogana l'odio verso il Cav

Che cosa resta del conflitto di interessi dopo le dimissioni del Cav? Che cosa resta dei processi? Che cosa resta del conflitto sul famoso Caimano? Sconfitto il partito anti Cav

Il montismo sdogana l'odio verso il Cav
Que reste-t-il de nos amours? Che cosa resta del conflitto di interessi, dopo le dimissioni di Ber­lusconi da capo del governo, dopo il governo Monti e la formazione di una maggioranza tripartita di sostegno? Qua­si niente. L’orientamento favorevole al servizio pubblico di una parte delle forze parlamentari, e quello più liberalizzante di chi ha sempre pensa­to che la tv commerciale fosse testimone di una controversa ma feconda e nuova misura di libertà, so­no da sempre in campo, ma l’ingombro di un presidente del Consiglio e capo della maggioranza proprietario di Mediaset è rimosso.

Tutti poi vedono che con le pay tv arrembanti, con lo spazio di Sky e di altri, con il rilancio tecnologico del digitale terrestre, l’ambito plurale dell’informazione e di tutto il resto si è immensamente accresciuto ( testimonial a suo modo anche Michele Santoro e la sua compagnia di giro extrasistema). La Rai è anch’essa in via di normalizzazione a partire da governance, bilanci e prodotto, e come sempre è destinata ad accontentare tutti con un rilievo al suo interno del peculiare partito-Rai.

Che cosa resta dei processi a Berlusconi e del conflitto della politica con i magistrati, a parte rimasugli vari e la necessità di ripensare il funzionamento della giustizia alla luce della sua impropria politicizzazione, dopo le dimissioni di Berlusconi, la sentenza Mills di prescrizione del reato, la diffusione a tutto campo di inchieste abbastanza mediocri sulla corruzione nel bel mezzo del dichiarato fallimento strategico dell’operazione Mani pulite? Resta quasi niente, cioè un processino pruriginoso, abusivo nella sostanza e malcerto nella forma giudiziaria, basato sulla caccia spionistica alla vita privata di un uomo tornato libero da incarichi pubblici. La discussione sulla giustizia è vecchia quanto il mondo, e non si polarizzerà più su una figura politica di primo piano. C’è solo da sperare che non muoia nell’indifferen­za colpevole, e che il ministro Severino riesca a fare qualcosa per le vere emergenze a partire dalle carceri infernali che ci ritroviamo.

Che cosa resta del conflitto sul famoso Caimano o come io preferisco dire sul Cav, sul suo stile, sul suo modo di interpretare l’Italia, di dare voce facendo molto chiasso a certe emergenze decisive dopo la caduta del muro di Berlino e della vecchia Repubblica dei partiti? Una barzelletta di Berlusconi, una sua sortita sorprendente, una sua provocazione storica, un suo flash ideologico non sono più materia di lacerazione istituzionale più o meno ipocrita, sono parte di un paesaggio politico ricostituito e trasformato senza l’ombra di una resistenza tirannica, nella sapienza di un congedo che ha lasciato il posto a un governo tecnocratico non avaro di riconoscimenti verso i predecessori di ogni segno.

Che cosa resta dello scontro con il complesso politico-editoriale-finanzia­rio di Carlo De Benedetti, a partire dal caso Mondadori? C’è stato un risarcimento, odioso per quantità e qualità, ma eseguito giudizialmente con compostezza, e oggi pare oggetto di trattativa finale, bei soldi a coprire forzosamente gli interessi nascosti della galassia antiberlusconiana.

Pratica chiusa o in via di chiusura definitiva.

Che cosa resta degli eccessi e degli sconvolgimenti pro o contro il comunismo, il populismo, l’autoritarismo dispotico dell’uno, la furba congiura antidemocratica degli altri? Resta un triste teatro milanese dove i superstiti di una stagione tramontata, Zagrebelsky & C., cercheranno di dare nuova vita ai fastigi malmostosi e residuali di un insincero moralismo politico, ma a questa genia della strisciante guerra civile ideologica non resta che leggere Kant la sera, di nuovo senza capirne la sottigliezza etica e la genuina allegria di pensiero liberale.

Dei nostri amori di vent’anni resta il nulla che ha impedito alla fine di governare, sia a Berlusconi sia a Prodi e ai suoi in alternanza, e ha costretto il Paese alla fine a cercare di domare la crisi finanziaria con un governo del presidente, un governo tecnico e una maggioranza politica che lo sostiene.

Dall’altra parte ci sono le cose da fare, che sarebbe stato fare meglio e prima e in un clima costituzionalmen­te serio e responsabile, e che in parte si stanno facendo. La disciplina dei conti pubblici, le riforme liberalizzanti, un nuovo mercato del lavoro aperto ai giovani e alle donne, nuove relazioni sindacali che mettano in archivio i principi e il metodo della lotta di classe, e poi le riforme su cui tutti convergono da decenni, più poteri al premier, un Parlamento non bicameralista e perditempo, meno parlamentari, nuovi regolamenti, l’equilibrio di bilancio in Costituzione, e si spera uno stato fiscale meno rapace e amico della crescita economica.

In questa situazione reale, effettiva o effettuale come avrebbe

detto il Machiavelli, pare a voi che si possa pensare al 2013 come a un anno in cui si ritorna all’origine, cioè a una forma di bipolarismo che non ha funzionato, a un menare le mani su fantasmi che appartengono al passato?

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