No al modello jugoslavo con i sindacati nelle Poste

La privatizzazione di una quota della società prevede l'ingresso delle sigle nei suoi vertici. Così si consegna la finanza pubblica nelle mani di Cgil, Cisl e Uil

I segretari di Cgil, Cisl e Uil Susanna Camusso, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti
I segretari di Cgil, Cisl e Uil Susanna Camusso, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti

La privatizzazione delle Poste da parte del governo non è un'iniziativa di risanamento della finanza pubblica e di sviluppo, mediante l'apertura al mercato, ma una svendita di argenteria di famiglia, rivolta a compiacere i sindacati, l'intreccio di potere fra partiti al governo e clientele politiche e burocrazia.
Il progetto prevede il collocamento in Borsa del 40% delle azioni, senza che si sappia chi abbia valutato tale pacchetto azionario, con cui il governo stima di incassare circa sei miliardi di euro. Il colosso Poste italiane secondo i dati del bilancio del 2012 ha un fatturato di 24 miliardi, di cui 10,5 di Poste Vita (cioè risparmio - assicurativo con 10, 5 miliardi di premi), 3 milioni di Sim, investimenti per 477 miliardi, con un utile netto di 1.032 miliardi. Ma fra le righe si scopre che di questo 40% di azioni che saranno collocate sul mercato una buona fetta, il 5% verrebbe dato gratis al personale, mediante un'operazione appositamente studiata, che non viene spiegata. Sembra che si tratti di una opzione a un prezzo simbolico o con un pagamento molto dilazionato di una piccola cifra forfettaria, insomma un regalo ai 145mila impiegati.
Perché il contribuente italiano, così tartassato, deve regalare agli impiegati postali il 5% dell'azienda pubblica? Quale regola della contabilità dello Stato lo consente? Anche ammesso che davvero questa impresa valga solo 15 miliardi, il 5% vale 750 milioni, non spiccioli. Come si distribuirà il diritto alla opzione (semi) gratuita a 750 milioni fra i 145mila addetti? Sarà eguale per tutti? Oppure si terrà conto dell'anzianità o sarà una sorta di bonus proporzionale alla retribuzione? La conseguenza di questa elargizione è che, con un minimo di organizzazione, i sindacati degli impiegati postali potranno nominare propri esponenti nel Consiglio di amministrazione, in quanto detentori di un pacchetto di azioni cospicuo. Ma il discorso non finisce qui. Infatti, stando a ciò che è stato reso noto, il progetto del governo prevede che la società assuma il modello duale, di diritto europeo, di ispirazione tedesca, in cui vi è un Consiglio di amministrazione e sopra di esso un Consiglio di supervisione (Oversight rat), che detta le linee strategiche ed esercita il controllo su amministratori e manager.
E del Consiglio di supervisione farebbe parte anche una rappresentanza dei sindacati aziendali, secondo il modello della Germania del dopoguerra della Seconda guerra mondiale: la cosiddetta Mitbestimmung ovvero codeterminazione. Ma in Germania questo modello è stato applicato a grandi imprese manifatturiere, ed è rimasto quindi una faccenda di carattere aziendale, di collaborazione sindacale, con i suoi pro e i suoi contro (che sono maggiori dei primi, come si è riscontrato nella prassi). Il caso di Poste italiane è diverso. Infatti questa mega azienda non è una mera impresa di servizi postali, tradizionali o di tipo innovativo (come il trasporto di merci con gli aerei aziendali che sono 5), è sempre di più una istituzione finanziaria, che con le assicurazioni, i conti correnti e i depositi, le carte di credito postali, gestisce servizi bancari e para bancari. Ha anche una banca, la Banca del Mezzogiorno. La Società Poste italiane è il polmone finanziario di cui si alimenta la Cassa depositi e prestiti. La sua raccolta bancaria a breve, medio e lungo termine è attorno ai 250 miliardi.
I servizi che svolge per lo Stato sono molteplici e delicati. Ne consegue che la presenza dei sindacati nel suo vertice gestionale significa metterli nel vertice della finanza pubblica, un modello di tipo semi jugoslavo. Letta e Saccomanni stanno consentendo alle banche tedesche di comprare la maggioranza azionaria della Banca di Italia, con le sue riserve auree.

Ora chiamano i sindacati al vertice della società delle Poste (che ora è anche azionista di riferimento di Alitalia). Non fanno scelte di economia di mercato, ma scelte di una vecchia, pericolosa politica. Poste italiane va privatizzata per valorizzare le sue grandi potenzialità, non così.

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