Ora Gianfranco rischia di risarcire i danni: conto da mezzo milione

La differenza tra valore della casa di Montecarlo e prezzo di vendita è  519mila euro. E i giudici civili possono imporre al leader del Fli di pagarla

Gianfranco Fini non si dimette (mai), ma rischia di dover staccare un assegno piuttosto consistente per l'affaire Montercarlo: mezzo milione di euro. Perché se è vero che i pm capitolini hanno spazzato via a tempo di record i dubbi sulla congruità del prezzo dell'appartamento monegasco (che congruo non era), è vero anche che il processo civile rischia di riaprire la partita che il presidente della Camera non riesce a chiudere anche per le carte sequestrate nella casa dell'imprenditore latitante Francesco Corallo, che dimostrano il collegamento dei fratelli Tulliani con il broker caraibico James Walfenzao che trattò l'acquisto dell'immobile nel Principato. La storia è questa. L'avvocato Marco Di Andrea e il consigliere regionale Roberto Buonasorte della Destra hanno citato in giudizio il presidente della Camera e l'onorevole Donato Lamorte per vederli condannare all'adempimento dell'onere testamentario della «buona battaglia» apposto dalla contessa Colleoni nelle sue ultime volontà. Se dovessero avere la meglio, Fini potrebbe essere costretto a pagare la differenza tra il valore della casa di Boulevard Princesse Charlotte, stimato dalla Chambre Immobilière Monegasque (819mila euro) e il prezzo dell'alienazione dell'appartamento (300mila euro) in cui è finito a vivere Giancarlo Tulliani. Una scarto risarcitorio da ben 519mila euro. Che non è poco per uno dei protagonisti dell'affaire che ha sempre giurato di essere estraneo a qualsiasi interesse nella vendita a società anonime di un bene ereditato dal partito. Erano stati i magistrati romani, nell'archiviare un'inchiesta penale a dir poco criticata, a indicare la via del giudizio civile evidenziando che i denuncianti (sempre Di Andrea e Buonasorte) non potevano essere considerati «persone offese dal reato ma eventualmente danneggiate dal comportamento degli indagati, in conseguenza del valore incongruo attribuito all'immobile alienato, così da determinare loro un danno patrimoniale, da rivendicarsi nella competente sede civile».

L'ARCHIVIAZIONE RECORD

Per i pm, che pure nel decreto di archiviazione avevano riconosciuto l'esistenza di un reato, al dunque non era ravvisabile niente di più di una responsabilità di tipo civilistico. Nessuna truffa, dunque, anche se l'ipotesi all'inizio aveva affascinato gli inquirenti, partiti in quarta anche con rogatorie nel Principato e accertamenti della Guardia di finanza, per verificare se il valore stimato dell'immobile fosse più o meno congruo. Una volta ricevuta la conferma dalla Chambre Immobilière Monegasque che la casa era stata venduta a un terzo del valore dell'epoca (anche se in realtà le stime di mercato erano molto più alte) i pm hanno però preferito togliersi d'impaccio archiviando l'indagine e suggerendo ai ricorrenti di rivolgersi ai colleghi del civile. Si è scoperto così che Fini e Francesco Pontone, segretario amministrativo di An, erano finiti sotto inchiesta giusto il tempo necessario ai pm di inoltrare al gip una richiesta di archiviazione: i due provvedimenti - l'iscrizione nel registro degli indagati e la richiesta di archiviazione - portano infatti la stessa data. Un record pazzesco.

INDAGATO E MEZZO SALVATO

E per raggiungere questo risultato la Procura non ha avuto neppure bisogno di interrogare Fini come persona informata sui fatti o convocare Tulliani, che certo di cose da raccontare ne avrebbe avute. A testimoniare è stato chiamato Pontone, che aveva firmato l'atto di vendita dell'appartamento ad una società off-shore. Quanto ha detto è bastato a farlo uscire di scena. Fini (e il cognato) con lui. Un bel regalo da parte della magistratura che, prima di decidere di non procedere, il presidente della Camera aveva provveduto a ingraziarsi in ogni modo, con una cinquantina di dichiarazioni in cinque mesi (dieci al mese di media), in cui non risparmiava elogi per chi con una pronuncia piuttosto che un'altra avrebbe potuto cancellare la sua carriera politica. Pochi giorni fa, ancora una volta, la Procura ha sentito il bisogno di intervenire al fianco di Fini affrettandosi a dire che i documenti di Corallo non introducevano alcun nuovo elemento (quand'invece le novità c'erano eccome: la nuova off-shore di Giancarlo, il passaporto di Elisabetta, i rapporti di entrambi col dominus caraibico della vendita di Montecarlo). Quelle carte, però, rischiano di essere di grande aiuto ai ricorrenti della Destra, per l'accoglimento delle domande del ricorso civile. Quali? Devolvere tutto o in parte il cospicuo patrimonio della contessa, stimato in decine di milioni di euro, «alla fondazione di un partito che possa continuare a perseguire gli obiettivi politici del disciolto partito Alleanza Nazionale o nell'impossibilità devolverlo alla Destra di Francesco Storace».

LA NOBILDONNA TRADITA

Ove ciò non fosse possibile ecco la richiesta di riserva, quella che potrebbe mettere ancora più in difficoltà Fini: condannarlo, insieme a Lamorte, al «risarcimento dei danni tutti, materiali e morali, arrecati agli odierni attori che si quantificano sin da ora nella misura di euro 519mila». Nelle carte del processo si elencano i motivi per cui Fini avrebbe violato i desiderata della contessa Colleoni «adottando un comportamento politico contraddittorio, incoerente e antitetico» con gli ideali e l'identità dell'Msi prima e di An poi. Una dopo l'altra vengono citate le infinite giravolte politiche e le abiure dell'ex delfino di Almirante che sicuramente non rientrano nelle «condizioni» poste dalla contessa per portare avanti «la buona battaglia». Tradimenti culminati con la svendita dell'immobile a una società di Saint Lucia promossa proprio da Giancarlo Tulliani, che in quell'appartamento ci andrà poi ad abitare. Ad aprile, nelle more del procedimento civile la Destra chiedeva da un lato la risoluzione della disposizione testamentaria a causa del grave inadempimento all'onere testamentario a favore dei nipoti della nobildonna, Paolo e Aurora Fabri, e dall'altro la richiesta di sequestro conservativo di tutto il patrimonio della Colleoni.

Nel frattempo si è aperto un nuovo fronte sulla gestione del patrimonio con i «cugini» del Pdl. Ma questa è un'altra storia. L'appuntamento con Fini in tribunale è per il 19 dicembre, chissà che Giancarlo e Elisabetta non ci regalino sorprese prima.

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