Il partito lo molla: il tempo delle promesse è scaduto. E in Aula non c'è più la maggioranza

Può sbraitare davanti alle telecamere del talk show di turno (ultima uscita l'Arena di Giletti domenica scorsa), urlando che chi innova è solo lui e tutti gli altri son nessuno. Può cercare di riconquistare i riflettori grazie a trovate spot tipo il mutuo prima casa agevolato per coppie di fatto e gay. All'atto pratico però Rosario Crocetta, governatore di Sicilia, deve trovare in Aula i numeri. E all'Assemblea regionale siciliana, i numeri, non ci sono più. Succede infatti che sul filo del rimpasto (che il governatore s'impunta a negare) e sul filo dell'imminente congresso siciliano del Pd, sono oggi i democrat, il suo partito, a mollarlo e a uscire dalla maggioranza. Lanciandogli l'aut-aut: o cambia registro o meglio andare a votare.
A fare riesplodere lo scontro tra il governatore e il suo partito lo scandalo dei rimborsi ai gruppi dell'Ars. È stato l'uomo di punta di Matteo Renzi in Sicilia, Davide Faraone, invischiato nel mare magnum di questa inchiesta (83 deputati indagati), a dare il «la», qualche giorno fa: «Fino a oggi niente rivoluzione – aveva sibilato a Crocetta il responsabile Welfare del Pd – solo tanta continuità con un passato che non ci piace. O si cambia o in Sicilia meglio tornare al voto, questo galleggiamento non serve a nessuno». Un attacco durissimo. Seguito a una battuta al vetriolo sull'indagine rilasciata da Crocetta a caldo: «Io non credo – aveva detto il governatore – ci si debba dimettere per un semplice avviso di garanzia. Però se il Pd sostiene che la Cancellieri senza neppure un avviso di garanzia si deve dimettere allora anche Faraone si deve dimettere». Il governatore, dopo l'attacco di Faraone, aveva fatto dietrofront. E aveva giurato urbi et orbi: mai chieste le dimissioni di Faraone.
Invano. Come si è visto ieri. Crocetta ha fatto contattare il segretario regionale del Pd Giuseppe Lupo per convocarlo a un vertice di maggioranza, domani. E Lupo lo ha gelato: «Il Pd ha deciso di non partecipare più ai vertici di maggioranza». Quindi il segretario ha spiegato, chiedendo agli assessori Pd di dimettersi: «La maggioranza non esiste più da mesi. Faraone ha ragione, Crocetta la smetta con i vecchi riti che nulla hanno a che fare con le rivoluzioni. Il tempo delle promesse è scaduto». «Dio assista Lupo», ha risposto annichilito Crocetta, sentendosi franare il terreno sotto i piedi. E ha avvertito: guai a interrompere il rinnovamento, mi dimetto.
La partita di Crocetta è difficilissima. Oltre al Pd, dalla maggioranza si è sfilato anche l'Udc. In Aula il governatore ha appena 18 voti su 90, quelli dei deputati di Megafono, Democratici riformisti per la Sicilia e Articolo 4. Un'inezia. E lui rischia di fare una figuraccia su una riforma mai attuata ma data per fatta: la cancellazione delle Province. A fine anno l'Aula gli ha già fatto lo scherzetto di far saltare i commissari. E il rischio di un accordo bipartisan per annullare tutto e votare a maggio è concreto. Non ultima grana per Crocetta, il flirt tra Faraone e Lupo in vista del congresso siciliano del Pd.

Il segretario regionale uscente ha sostenuto Renzi alle primarie e vuol ricandidarsi. L'appoggio di Faraone lo aiuterebbe. È il capolinea? Oggi Crocetta incontrerà i deputati regionali del gruppo Pd. E senza intese in extremis, il rischio crisi è dietro l'angolo.

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