Patti Ue, serve il "metodo Berlusconi"

Nel 2004 il Cav si schierò contro gli accordi di Stabilità per accelerare le modifiche al testo. Una strategia da imitare

Patti Ue, serve  il "metodo Berlusconi"

Roma - «Negli ultimi anni il mio Paese ha sempre rispettato, grazie ad enormi sforzi, gli impegni assunti in sede europea... Mi sono speso personalmente perché l'Italia continui a contenere il proprio deficit entro il limite del 3%... Nei mesi passati, anche su stimolo europeo, abbiamo realizzato profonde e difficili riforme strutturali: da quella del mercato del lavoro a quella previdenziale». Chi parla? Mario Monti, Enrico Letta, Fabrizio Saccomanni? No, Silvio Berlusconi.

È il 23 novembre 2004. Il Cavaliere è a Palazzo Chigi. La crisi morde le imprese italiane ed europee; ma l'impatto era un decimo di quella attuale. Così prende carta e penna e scrive al suo omologo olandese Jan Balkenende, presidente di turno della Ue. E gli chiede «una urgente riflessione sugli effetti che la rigidità del Patto di Stabilità può provocare sul funzionamento delle nostre economie: con l'attuale sistema di interpretazione ed applicazione del Patto i governi risultano ingabbiati in uno schema troppo rigido; e non consente di operare in funzione del ciclo economico».

In altre parole, Berlusconi non è nuovo ad iniziative come quelle suggerite al governo Letta con l'intervista al Foglio di ieri. Con un particolare in più. L'Unione europea modificò il patto di Stabilità quattro mesi dopo quella lettera: anche il ministro dell'Economia dell'epoca, Domenico Siniscalco, scrisse all'omologo olandese Gerrit Zalm, proponendo - tra l'altro - lo scorporo degli investimenti dal deficit, e visto che il costo degli investimenti era il 3% del Pil, l'indebitamento italiano sarebbe diventato positivo.

Le critiche all'iniziativa di Berlusconi si alzarono quasi subito anche all'epoca. Ma Baldenenke mise all'ordine del giorno del Consiglio europeo di marzo 2005 la riforma chiesta dall'Italia; e vennero introdotti principi validi ancora oggi. Come quello che i Paesi possono accelerare il risanamento durante i periodi di congiuntura positiva e possono rallentarlo in quelli negativi.

Non fu un'operazione facile. La Germania chiese lo scorporo dal deficit delle spese sostenute per la riunificazione. La Grecia chiese uno sconto dal deficit delle spese per l'acquisto di caschi per le moto. L'Irlanda di quello dei pannolini. Tutte bocciate, insieme a quella italiana di scorporo degli investimenti dal deficit.

Il risultato è che a nove anni di distanza da quell'appuntamento, l'Europa è ancora alle prese con gli stessi problemi; nonostante altre riforme del Patto che, però, hanno corretto e non modificato l'approccio europeo alla crescita. Da qui, l'intervista di Berlusconi al Foglio. E se è l'Unione europea è riuscita a modificare il Patto di fronte ad una crisi passeggera, come quella del 2003/2004, perché non può intervenire in modo più profondo oggi?

Le modifiche apportate al Patto di Stabilità con il fiscal compact hanno finito per irrigidire le regole relative al risanamento finanziario; ma hanno tralasciato gli interventi a favore dello sviluppo. Per questo, ora che è libero da impegni di governo diretti, Silvio Berlusconi (oltre ad usare un linguaggio meno diplomatico) suggerisce al governo Letta di farsi promotore di iniziative che «rimettano in moto in forma decisamente espansiva il motore dell'economia, uscendo dalla paralizzante enfatizzazione della crisi da debito». In alternativa, il Cavaliere profetizza «la rottura dell'equilibrio attuale».

Con ogni probabilità, se Berlusconi ha deciso di pungolare il governo Letta e di stimolarlo nella direzione della costruzione di un nuovo Patto di Stabilità è perché le sue antenne gli hanno riferito che il prossimo Consiglio europeo di fine mese non produrrà gli effetti auspicati da Palazzo Chigi. C'è il rischio, infatti, che le misure a sostegno diretto dell'occupazione possano avere tempi di applicazione diversi da quelle soluzioni «immediate», auspicate da Enrico Letta.

Con la conseguenza che, senza interventi immediati, la situazione occupazionale possa solo peggiorare. Da qui, l'iniziativa di Berlusconi: «o la nostra voce si fa alta e forte, oppure il governo perderà la legittimazione popolare che l'unità nazionale gli garantisce». Insomma se non ora, quando?

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