Il Pd grillino giura tagli su tutto ma assume la Turco a spese nostre

Il partito dà un posto all'ex ministro. È caos: lei rinuncia alla paga, ma non ai contributi. Sul voto Bersani ammette: "Che botta"

Il Pd grillino giura tagli su tutto ma assume la Turco a spese nostre

Mentre Bersani tenta disperatamente di smacchiare il famoso giaguaro chiedendo in elemosina a Grillo e Casaleggio un paio di senatori per tentare -– sì, come no –- il miracolo e dar vita a un formidabile governo Gargamella, all'interno del Pd, e proprio nella stessa sede dove due giorni fa il segretario, durante la direzione, ha messo in scena l'esilarante commedia della «Grande Tregua», sono in corso due psicodrammi: il primo è quello di Bersani che ieri nel confessionale di Lilli Gruber ha ammesso per la prima volta che il risultato delle elezioni è stato «una botta»; il secondo riguarda la silenziosa ma clamorosa rivolta del mastodontico apparato del Pd contro l'attuale classe dirigente del partito, e dunque in parte anche contro Bersani.

I primi spifferi di questa storia, che se non gestita bene rischia di trasformarsi in uno spaventoso e involontario assist generosamente offerto ai compagni grillini, sono stati avvertiti nell'aria qualche giorno fa, quando si è scoperto che dopo ventisei anni di Parlamento (ventisei!) l'onorevole Livia Turco, mentre con una mano firmava la sua rinuncia a chiedere una deroga per tornare in Parlamento, con l'altra –- oplà! -– metteva la sua firma sotto un bel contratto di due anni con il Pd: non solo per non correre il rischio di restare disoccupata ma anche per avere qualcuno che generosamente si offrisse di pagare i contributi necessari per arrivare alla pensione (che per la Turco scatta tra due anni). Mercoledì pomeriggio, lo avrete notato, un giovane senatore del Pd, Francesco Russo, ha affrontato il tema durante la tragicomica direzione del partito chiedendo –- eroe! -– che il Pd confermasse il contratto alla Turco «solo dopo aver risolto la questione esodati» (quindi, a occhio, più o meno mai). Quel che però, probabilmente per decenza, Russo e i suoi imbufaliti compagni democratici non hanno avuto ancora il coraggio di raccontare per filo e per segno è la vera ragione per cui in queste ore l'apparato democratico ribolle come una pentola a pressione. L'assunzione di Livia Turco -– che ieri, bontà sua, ha annunciato in pompa magna di essere disponibile «anche di continuare a lavorare a titolo gratuito per il partito, restando in aspettativa non retribuita» –- era infatti arrivata in una fase delicata per la vita del Pd: ovvero quando, alla fine del 2012, in seguito al dimezzamento dei finanziamenti pubblici previsti dalla legge 3321/2012, il Pd aveva reso noto a tutti i suoi dipendenti (che sono circa 200) che per ragioni di costi sarebbero state bloccate tutte le assunzioni e che di conseguenza, dannazione, non sarebbe stato più possibile «stabilizzare» i dipendenti con contratti atipici.

Piccolo problema: il giorno in cui (era inizio febbraio) gli organi rappresentativi dei dipendenti del Pd (una specie di sindacato interno) sono stati informati che il partito sarebbe stato sul punto di assumere alcune persone nonostante il blocco delle assunzioni, tra i contratti annunciati a livello nazionale non c'era solo quello della onorevolissima Turco, ma ce n'era anche un altro, quello di un ex parlamentare del Pd, Oriano Giovanelli, classe 1957, fedelissimo di Bersani (è stato il suo tesoriere durante le primarie del centrosinistra, ed era lui insomma che gestiva i quattrini della macchina bersaniana). Giovanelli, dopo essere stato allegramente e clamorosamente trombato alle parlamentarie del Pd dello scorso dicembre, ha chiesto al partito di essere assunto, proprio come Livia Turco, e l'assunzione è stata annunciata a largo del Nazareno pochi giorni prima delle elezioni.

Turco e Giovanelli. Due storie che a modo loro dimostrano bene quanto Bersani abbia a cuore la questione esodati. Una questione vera, si capisce, soprattutto se gli esodati in questione vestono la gloriosa maglia del Pd.

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