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Hanno gettato benzina sulla crisi, dall'Imu alle mancate liberalizzazioni

Il Bollettino economico della Banca di Italia lancia un allarme, che merita molto attenzione: nel 2013 ci sarà una recessione dell'1 per cento. È vero che sul finire dell'anno vi sarà una ripresa, ma questa non sarà tale da compensare, se non in misura molto modesta le contrazioni precedenti del Pil. Il governo Monti, sinora, aveva affermato che il 2013 sarebbe stato un anno di svolta positiva, per la nostra economia, grazie alle misure da esso attuate. Ma come si vede da questi numeri, che coincidono con quelli dell'Ufficio studi della Confindustria, nel 2013, se le cose continueranno così, la svolta in senso positivo non ci sarà. Bisognerà attendere il 2014. Secondo la valutazione della Banca di Italia, in tale anno, il Pil però salirà solo dello 0,7. Non ci vuole un tecnico per capire che se nel 2013 perdiamo un punto di Pil e nel 2014 recuperiamo lo 0,7, ciò significa che all'inizio del 2015, fra due anni, staremo un poco peggio di ora. E poiché nel 2012 il Pil italiano, secondo i dati Banca di Italia, è sceso di 2,1 punti, ciò vuol dire che nel 2015 noi, in termini di Pil staremo peggio rispetto al 2011, di circa due punti e mezzo. La famosa luce in fondo al tunnel, che secondo Monti il suo governo avrebbe fatto emergere, si è dileguata. Una ragione fondamentale per cui ciò accade e per cui la disoccupazione cresce, con particolare riguardo a quella delle nuove leve del lavoro, sta in una causa che è stata analizzata da Fabio Fois per l'Ufficio studi della Barclay's Bank. Si tratta della dinamica dei costi unitari del lavoro. Risulta da tale analisi che in Italia, nel 2011, essi sono saliti del 10 per cento rispetto alla metà del 2010, mentre in Francia erano invariati, in Germania scendevano di un 5% e in Spagna di un 10%. Nel 2012 i costi unitari del lavoro in Italia erano al livello del 2011. Abbiamo perso competitività in modo preoccupante. La causa dello spread del debito, nella valutazione delle banche inglesi dipendeva da questo fattore, che ci poteva costringere a uscire dall'euro, per ridurre i salari con la svalutazione del cambio. Il governo Monti, composto in gran parte di simpatizzanti del Pd, ha bloccato le ricette del governo Berlusconi, sostenute dal ministro del Lavoro, Sacconi, tendenti a ridurre i costi unitari del lavoro, mediante i contratti aziendali. E ha propinato alla nostra economia una ricetta fatta di maggiori imposte, in cui campeggia la patrimoniale sulla casa, che ha abbattuto gli investimenti edilizi e spaventato i risparmiatori. La Bce certifica che nel 2012 sono aumentati gli investimenti italiani in obbligazioni estere, segno evidente, dico io, che i nostri risparmiatori non si fidano di un governo che tassa i patrimoni, non riduce le spese per migliorare il bilancio e non liberalizza il mercato del lavoro. Ciò lo ha fatto, invece, la Spagna per recuperare competitività. Si può creare lavoro, mediante il successo internazionale delle nostre imprese, dovuto, oltreché alla loro ingegnosità, alla riduzione dei costi del lavoro. Anche il costo del credito maggiore di quello della Germania è sopportabile, se i costi del lavoro ribassano. E, comunque, le banche fanno più credito, se i bilanci delle imprese hanno buoni utili lordi. E se i costi del lavoro sono più bassi i ribassi di prezzi, per battere la concorrenza non sono attuati sacrificando gli utili. Con la politica del governo Monti che ho descritto non poteva non esserci una recessione, che perdura, con il rischio che il nostro apparato di imprese ne esca sfiancato. Bersani, che ha come azionista di riferimento la Cgil, non ha nel suo programma la liberalizzazione del mercato del lavoro, ma la ricetta opposta. Non ha la riduzione della tassazione patrimoniale, ma la ricetta opposta. Prova ne sia che ha dichiarato che non intende istituire nuove patrimoniali, ma che vuole rendere progressiva l'Imu riducendo quella sui contribuenti a basso reddito e accrescendo quella dei contribuenti con reddito maggiore: cioè aumentando la tassazione patrimoniale dei ceti medi.

La recessione che abbiamo subito e quella che subiremo, l'arretramento economico a cui sembriamo condannati derivano da questi due fattori: la tassazione eccessiva, in particolare patrimoniale, che fa scappare i capitali e il freno alla liberalizzazione del mercato del lavoro. Cioè il programma del Pd, che è, in questi due ambiti, quello di Monti.

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