Primarie (vere) per il Pdl L’unica idea da copiare al Pd

Affidata agli elettori la scelta su chi far correre per Palazzo Chigi. Così si vedrà dove stanno le idee migliori e le persone che offrono più garanzie

Primarie (vere) per il Pdl L’unica idea da copiare al Pd
Le primarie possono essere una truffa grottesca, si sa. Quando si candidò Roma­no Prodi, prima volta nell’uso di questo strumento, il suo avversa­rio era Fausto Bertinotti. E Berti­notti fece tutta la campagna di­ch­iarando che era sostenitore del­la candidatura a Palazzo Chigi del competitore. Una presa per i fon­delli del popolo della sinistra che votava una falsa legittimazione senza poter scegliere in una vera alternativa. Eppure la novità del metodo era tale, e tale era la voglia di partecipare alla scelta del lea­der, che milioni di persone si pre­starono a quella farsa falsamente competitiva, pagarono il biglietto di ingresso e alla fine andaro­no a votare abbastanza compattamente da eleggere Prodi, contro Berlusconi, nel­le elezioni politiche, sia pure per una man­ciata di voti. Alle primarie-burla nazionali si agganciano altre due primarie di grandi città finite a schifio: Napoli, dove le prima­rie furono annullate per sospetto di frode, e poi fu il trionfo del magistrato e demago­go Luigi De Magistris; Palermo, dove po­che set­timane fa Leoluca Orlando si è impi­pato del risultato delle primarie e le ha suo­nate al candidato ufficiale del Pd che le ave­va vinte, contro il suo illuminato parere. In­somma, le primarie possono essere burle, nemmeno troppo divertenti.

Però anni fa in Puglia Nichi Vendola, che non è la mia tazza di tè (ma in democra­zia prevale chi ha il consenso, non il dar­ling degli opinionisti) vinse su Francesco Boccia, che era portato dall’establish­ment della sinistra, e che è un eccellente parlamentare e una persona responsabile e attenta. Vinte le primarie, Vendola pre­valse nelle elezioni in Puglia e inaugurò un lungo regno, che a me sembra pessimo, e una carriera nazionale, che a me sembra una punta ridicola. Ma è il popolo a decide­re, e quella volta il popolo esercitò il suo po­tere elettorale con efficacia democratica. Così come è avvenuto a Milano: il tecnico proposto dal Pd, l’architetto Stefano Boe­ri, fu sopravanzato alle primarie dal cocco di una strana Milano mezzo populista e mezzo società civile o ceto medio riflessi­vo, l’attuale sindaco Giuliano Pisapia Così come è avvenuto a Firenze, dove il formidabile Matteo Renzi, un giovanotto che ama le sfide,fece fuori i veti dell’appa­rato e diventò sindaco a viva forza elettora­le. Così come a Genova, dove l’aristocrati­co tristanzuolo Marco Doria è diventato sindaco sbaragliando nelle primarie un Pd diviso nelle candidature e nel giudizio sulla sindachessa uscente Marta Vincen­zi.

Per non parlare della cavalcata di Wal­ter Veltroni, eletto dalle primarie alla testa del Pd in massima crisi e candidato alla presidenza del Consiglio: contro un Berlusco­ni divenuto imbattibile dopo la crisi del gof­fo governo dell’Unione, riuscì comunque a mettere insieme una cifra elettorale che il Pd continuerà a sognare per parecchio, il 34 per cento dei voti nazionali. Perse, ma se non fosse stato solo un mezzo leader, avrebbe potuto contribuire a un cambia­mento radicale del sistema politico poi are­natosi nelle battaglie scandalistiche di re­troguardia il cui ritmo è sempre suonato dall’orchestrina di Repubblica.

Anche Pier Luigi Bersani, se è sopravvis­suto a questi anni duri per lui, se è soprav­vissuto al governo Monti che ha dimostra­to l’inesistenza di una opposizione di al­ternativa vincente, oltre che il fallimento del governo di centrodestra, lo deve alla forte legittimazione che si procurò con primarie mezzo farlocche (l’avversaria era Rosy Bindi), ma pur sempre capaci di stabilire chi vince e chi perde con una cer­ta stabilità di significato.

Ora è la volta del centrodestra, che ha annunciato il ricorso al metodo delle pri­marie per scegliere il candidato del Popo­lo della libertà in una competizione (for­se il 2013, forse prima) che si annuncia molto insidiosa e burrascosa, visto che in palio non c’è l’ordinaria amministrazio­ne ma la gestione di un’emergenza economica, finanziaria e sociale drammatica, per non parlare del progetto giustizialista e revanscista, insomma la grande vendet­ta, contro Berlusconi, della sinistra ma­nettara e neopuritana dei debenedettia­ni (la gente che si piace). Se fanno sul se­rio, se non è solo una variante di quel gran­de marketing politico che fu rivoluziona­rio nel 1994 e ora rischia di risultare una minestra riscaldata, gli amici e compagni del Cav possono costruire una grande oc­casione.

Veri candidati (Santanchè versus Alfa­no in primo luogo, e poi altre piattaforme importanti di discussione competitiva e di battaglia) possono fare di vere primarie una rinascita dalle ceneri del correntismo, del personalismo, dell’uso più o meno cor­tigiano del carisma del capo e fondatore, più i vistosi opportunismi che sappiamo. Potrebbero avere, gli elettori che si ricono­scono in una cultura del popolarismo euro­peo e del conservatorismo liberale e rifor­matore, l’occasione per vedere dove stan­no le idee migliori, le persone che offrono più garanzie per un governo serio della cri­si italiana ed europea, dove sta un rinnova­mento robusto e credibile, e potrebbero pensare che stavolta tocca a loro decidere.

Facendo nel campo elettorale del Pdl quel­lo che in fondo fecero, per iniziativa perso­nale e carismatica di Berlusconi, quando scelsero di dare vita, tra mille equivoci e dif­ficoltà, a un’Italia politica e civile che non c’era mai stata prima,e che solo certi strac­cioni mentali tra­vestiti da intellettuali con­siderano antropologicamente inferiore al­l’Italia di sinistra.

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