Il proclama dei nuovi Br: subito rivoluzione

Il proclama dei nuovi Br: subito rivoluzione

MilanoCome tornare indietro di quarant’anni. Ma un proclama tanto vecchio suona pericolosamente attuale. «Viva la rivoluzione, avanti la rivoluzione, questo è il momento buono». Alfredo Davanzo è lì, chiuso assieme agli altri «compagni» nella gabbia dell’aula della prima corte d’Assise. È il processo d’appello-bis alle cosiddette «nuove Br», il gruppo di estremisti arrestato nel 2007 e che secondo la Procura di Milano stava preparando una serie di attentati, fra cui anche quello al giuslavorista Pietro Ichino. Davanzo è il leader. E ai cronisti che gli chiedono una parola sulla gambizzazione dell’amministratore delegato dell’Ansaldo Nucleare Roberto Adinolfi, l’uomo fermo al passato - già condannato 11 anni e 4 mesi di carcere in primo e secondo grado, sentenza annullata dalla Cassazione - lancia il suo strale.
E non è il solo. Altri imputati rincarano la dose. «La violenza è inevitabile e strategicamente necessaria - dice Claudio Latino, condannato a 14 anni e 7 mesi - Non amiamo la violenza, non abbiamo il gusto romantico della violenza, ma è inevitabile. Nessun gruppo di dominatori nella storia ha mai abbandonato pacificamente il potere». Il suo è un lungo e farneticante ragionamento sulla crisi economica e sulle scelte del governo tecnico guidato dal premier Mario Monti. Parla di finanza e banche. Parla di lavoratori e proletari, mentre a Genova proprio i lavoratori dell’Ansaldo sono in piazza a manifestare contro la minaccia terroristica. «Bisogna organizzare l’attacco - è la tesi di Latino - e qui devono scendere in campo le forze soggettive della rivoluzione proletaria. Noi dobbiamo dare obiettivi e forma alla lotta. Pensiamo che vada organizzata l’offensiva comunista che permetta di aprire la strada per la lotta al potere della classe operaia. Per noi questa offensiva deve avere carattere della propaganda armata». Il presidente della corte, Anna Conforti, prova a togliergli la parola. Le sue non sono dichiarazioni spontanee, ma «propaganda». Esplode l’urlo degli altri detenuti. «Stiamo solo spiegando perché sopportiamo cinque anni di carcere». Mentre Latino conclude con dichiarando «Morte all’imperialismo», e invocando la «libertà dei popoli». Come? L’idea di un altro imputato, Vincenzo Sisi (il presunto capo della cellula torinese condannato a 13 anni e 5 mesi) passa per le pallottole. «Solo con le armi si sovvertono i poteri, parlo come operaio comunista che ha preso le armi». Non bastasse, da un gruppo di sostenitori che indossano magliette a formare la scritta «solidarietà» si alza il grido «tutti liberi». A quel punto, la misura è colma. E l’aula viene sgomberata. La protesta prosegua davanti al Palazzo di Giustizia, con sit-in e striscioni sulla «rivoluzione» che «non si processa».
Dentro l’aula, invece, il cerimoniale si conclude in perfetto stile anni Settanta. Due degli imputati - Davanzo e Sisi - revocano il mandato ai loro difensori, perché «non abbiamo nulla da giustificare e niente da cui difenderci - insiste Sisi - è una questione politica. Di fronte alla catastrofe del capitalismo, non c’è altro sbocco che la lotta armata». «È stato dimostrato che il capitalismo non è eterno e che la sua fine non è così lontana - aggiunge Latino - il sistema borghese è agli sgoccioli». E siccome nemmeno le migliaia di persone che hanno manifestato in Spagna, Inghilterra e Stati Uniti «non sono capaci di rovesciare il sistema», né la borghesia «riesce più a garantire margini di sopravvivenza ai suoi stessi schiavi», ci penseranno loro. Loro, le «forze rivoluzionarie proletarie». Quarant’anni dopo, le stesse formule e gli stessi proclami.

E chi dovrebbero seguire, le masse oppresse? Davanzo e Sisi.
Due signori di mezza età ritenuti a capo di una cellula di estremisti e di un fantomatico Partito comunista combattente.
Ci sarebbe da ridere, se non fosse che in Italia si è ricominciato a sparare sul serio.

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