La prova del fuoco del premier: una vera linea filo occidentale

Il nuovo esecutivo si misura sulla politica estera. Il Paese può tornare autorevole con due mosse chiave: prendere le distanze dall'Iran e combattere il terrorismo

La prova del fuoco del premier: una vera linea filo occidentale

Se non ti occupi di politica estera, la politica estera si occuperà di te, e mai quanto in questi prossimi mesi. Mentre la Farnesina passa dalle mani di Emma Bonino a quelle della giovane Federica Mogherini, il futuro dei nostri figli si disegna in Europa come in India e in Medio Oriente, nelle logiche del negoziato come in quelle aliene della conquista, della vendetta, dell'onore. L'Italia deve essere mite come una colomba e astuta come il serpente, la risalita della sua economia non sta in qualche nuovo trattato, ma nella nostra rispettabilità, nella nostra abilità di sapersi bilanciare, districare, di rendere la nostra parola autorevole, indispensabile, originale e decisa. L'India non ci deve far paura, pur sconcertante con la sua immensità, la sua politica, il suo potere giudiziario: non la addomesticheremo con sorrisi o affari, e non saremo la palestra della sua futura grandeur. Per salvare i marò dobbiamo ribadire l'illegittimità del processo in India: i nostri militari possono essere giudicati solo in Italia. La strada, più che chiara, è la procedura arbitrale, ed essa va richiesta subito. Gli indiani vogliono che il processo si svolga da loro, noi sul nostro suolo: di fronte a questa controversia fra Stati, è necessario l'arbitrato obbligatorio. Il collegio arbitrale e il Tribunale del Diritto del Mare di Amburgo, avviata la procedura, possono collocare i marò in un Paese terzo: un bell'incubo di meno saperli fuori dall'India e per noi una necessaria affermazione di dignità.

L'esplosione ucraina chiama in giuoco l'atteggiamento verso l'Europa, gli Usa, la Russia. Su quell'arena si sta consumando un dramma che richiama la Guerra Fredda, mette in vista le viscere di un antico scontro. È un micidiale gioco di equilibrio quello che ci avverte della vulnerabilità dell'Europa che non ha saputo rispondere sin dai mesi scorsi alla richiesta di protezione e aiuto. La divisioni interne, il rifiuto a veder l'Ucraina come un test importante si sono misurate invece con l'accanimento di Putin a tener l'Ucraina nella sua sfera. Nelle ultime ore si è tracciata una strada in cui si mettono in campo dei principi ma non ci si scontra testa a testa con Putin. Gli Usa e Angela Merkel insieme a Hollande hanno aiutato a ristabilire il ruolo del vecchio Continente, hanno messo in luce senza insistere la prepotenza di Putin, l'offerta di un pacchetto europeo ha accompagnato Obama nell'opinare un grosso aiuto del Fondo Monetario Internazionale: tutte misure destinate a far tacere le armi. Se ci si riuscisse, l'Italia deve insistere sui principi, sia di fronte a Putin che agli Usa la soluzione del problema deve avvenire secondo regole del giuoco uguali per tutti, Putin e gli americani hanno a che fare con una Ue che sa chi è Janucovich, e non gli piace, ma che non si fida di formazioni nazionalistiche che non si peritano di sventolare i drappi più funesti della storia ucraina. Insomma, per aiutare l'Ucraina l'Europa deve dire a chicchessia, anche a Putin: «Qui si agisce in partenariato, avete a che fare anche con noi».

Con gli Stati Uniti, l'Italia deve avere il solito rapporto privilegiato, un'occasione importante per dimostrarlo, è la trattativa in corso per il TTIP, il Transatlantic Trade and Investment Partnership and Investment agreement, che poterebbe a un drammatico miglioramento, all'Europa 120 miliardi, agli Usa 90, a tutti più lavoro e fiducia nel futuro. Però nel terremoto mediorientale non serve seguire la scia di Obama, che non è capace di affrontare lo scontro antico del mondo sciita contro quello sunnita, che ha fallito nel pacificare la Siria, e di fronte alla rinascita di Al Qaeda. La credibilità data all'Iran anche dal nostro Paese è oggi un giuoco alla roulette, e l'appoggio occidentale al fronte sciita di cui l'Iran è il boss armato sopprime i diritti civili degli iraniani, tiene in piedi Assad, fomenta gli hezbollah in Libano, aiuta la diffusione del terrore. L'alleanza militare e diplomatica con la Russia di Putin rende gli ayatollah dei vincitori. Noi, non essendo oltretutto parte del P5+1 non abbiamo nessuna ragione di allargare con un atteggiamento entusiasta lo sconcerto abissale creato nel grande mondo sunnita, Arabia Saudita, Egitto, Turchia, Paesi del Golfo dal credito concesso all'Iran. Anche la crescita verticale di Al Qaeda è esaltata dall'idea che l'Occidente è ormai anche un caro amico dei suoi nemici storici. L'Italia non deve prendere parte per una delle due fazioni musulmane, ma seguitare a combattere senza compromessi il terrorismo, verificare gli accordi senza fideismi assurdi. Infine, Israele: il processo di pace può avere un seguito come fallire. Israele teme l'eccessivo ritiro per motivi di sicurezza, i palestinesi ribadiscono il rifiuto di riconoscere uno stato del popolo ebraico. Ognuno decida quale degli atteggiamenti è più pernicioso. Ma quel che sarebbe corruttivo per l'Europa sarebbe un atteggiamento antisraeliano, come in questi mesi. La signora Ashton ha promosso con le sue «guidelines» il boicottaggio dell'unico Paese democratico del Medio Oriente sindacando i confini che le due parti devono stabilire nei colloqui.

L'Italia, per aiutare la pace, deve insistere per le decisioni che deriveranno dai colloqui. Il boicottaggio è una forma di odio contro Israele, e l'Italia acquisterà meriti storici importanti se riuscirà a combatterlo.

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