Quando la sinistra gioiva per il «buco» di Antonveneta

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Un Monte di coincidenze. Come quelle incrociatesi sul finire del 2007 e inizio 2008 allorché in concomitanza con l'acquisizione a prezzi stratosferici di Antonveneta da parte della «banca rossa» Monte dei Paschi (su cui indaga la Procura di Siena) nasceva il Pd.
Del neonato partito di centrosinistra costituivano l'ossatura due personaggi come D'Alema e Fassino, protagonisti proprio in quei giorni di violente polemiche col giudice Forleo di Milano per le intercettazioni sul tentativo di scalata di Antonveneta e sulle diramazioni collegate come quella Bnl-Unipol («abbiamo una banca»). In quel preciso periodo, in realtà, una banca i Ds (...)

(...) già l'avevano. O per meglio dire, gli uomini di riferimento del partito senese erano ai posti di comando come «deputati» della Fondazione Mps che controlla la Banca Mps al cui vertice, nemmeno a dirlo, vi era un uomo nato nella Fgci, cresciuto nel Pds, maturato nei Ds: Giuseppe Mussari, oggi presidente dell'Abi, un tempo dalemiano di ferro, dal 2001 al 2006 presidente della stessa Fondazione e che poi si autonominò, con poca eleganza anche a detta dell'amico-ministro Visco, presidente della Banca. Mussari oggi è indagato per Antonveneta. Sempre in quel tempo il Santander del potentissimo Emilio Botin sfilava l'Abn Ambro (che controllava Antonveneta) a Barclays dopo aver lanciato un'opa con Royal Bank e Fortis, prendendosi la parte di asset italiani. Il prezzo pagato dagli spagnoli per la banca del Nord est, si scoprirà poi, ammontava a 6,6 miliardi di euro. Ma il guadagno che Botin ricaverà nel rivenderla nemmeno due mesi dopo a Mps per 9 miliardi (che diventeranno poi 10) sarà gigantesco anche perché tenne per sé il corporate Interbanca che valeva 1,6 miliardi di euro.
Con una nota dell'8 novembre 2007 Mps annunciava trionfale il finanziamento della mega acquisizione che col tempo si rivelerà fatale per il suo antico patrimonio. «Non abbiamo pagato un prezzo caro. Siamo una banca sana e pensiamo di fare di Antonveneta una storia di successo», gongolava Mussari nonostante la Borsa avesse accolto la novità sospendendo Mps per eccesso di ribasso (meno 10 per cento). Con l'allora presidente gioì tutto il Pd a dimostrazione di una commistione fortissima tra sportelli e politica. Tra i più felici c'era Romano Prodi: «La cosa in sé della creazione del terzo gruppo bancario italiano è certamente da vedere con occhio positivo. Dal punto di vista strategico ne ho un'impressione positiva». Più che entusiasta dell'acquisizione Antonveneta Walter Veltroni, che due mesi dopo verrà premiato proprio da Mussari al premio Frajese sul giornalismo, attaccato frontalmente da Riccardo Pedrizzi, allora segretario della commissione Finanze della Camera: «La vicinanza dei vertici dell'istituto senese con la nomenklatura diessina non è un mistero, ma la speranza è che il neoleader del Pd, Veltroni, non utilizzi il controllo indiretto del nuovo gruppo per cercare di lanciare un'opa politico-elettorale in quelle zone, come il Triveneto, dove la Cdl negli ultimi anni ha cementato il proprio rapporto con la classe produttiva e imprenditoriale sulla sola base delle proposte politiche». Anche l'ex parlamentare Pd ed ex sindaco Ceccuzzi fece fatica a trattenersi: «Antonveneta? Un capolavoro della banca senese, che è sempre più solida» (sic!). Il sindaco Pd in carica quell'8 novembre, Maurizio Cenni, ringraziò così Mussari e i vertici Mps: «Si tratta di una grandissima operazione che fa crescere la banca. Un'operazione fatta senza rumors e senza clamore, nello stile di Montepaschi. Faccio i complimenti a tutto il management». La soddisfazione sua e della regione Toscana che rappresentava portò Claudio Martini, dal lontano Messico, a dirne di belle anche lui: «Questa acquisizione fa del Monte una delle principali realtà bancarie del Paese e consentirà di svolgere un ruolo ancora più importante a sostegno della crescita dell'economia toscana e nazionale». Per la cronaca: Comune e Provincia di Siena e Regione Toscana, guidate dal centrosinistra, hanno da sempre rappresentati nella Fondazione.
E che dire dei fin troppo timidi sindacati che solo oggi, con la banca che affonda, attaccano i vertici del Monte dissanguato dall'operazione Antonveneta: «Esprimiamo grande soddisfazione – recitava una nota della Fabi, Cisl, Cgil-Fidsac, Uilca – per un'operazione che consente di concretizzare in maniera effettiva la costituzione di un terzo polo bancario all'interno del panorama domestico, mettendo al riparo la Banca da speculazioni mediatiche e finanziarie. I lavoratori della Banca e del Gruppo hanno ampiamente contribuito alla realizzazione di questo basilare obiettivo». La Fisac-Cgil, da sola, aggiunse: «È la migliore risposta alle tante maliziose accuse del passato, si può crescere mantenendo forte il valore dell'autonomia e del radicamento territoriale (...)».
Tra i pochi che in quel festeggiare scomposto provarono a lanciare l'Sos furono pochissimi rappresentanti di liste civiche e piccoli azionisti. Da Roma tuonò Giorgio Jannone di Forza Italia, che anche a nome del partito dettò queste precise righe alle agenzie di stampa: «Con la fusione Mps-Antonveneta la sinistra completa il suo piano, già da tempo in atto, finalizzato a monopolizzare e controllare il sistema bancario italiano. La possibilità di concedere affidamenti e l'enorme patrimonio gestito dalle banche di sinistra costituiscono una sorta di potere assoluto sul sistema produttivo del Paese. Dalla scalata di Unipol in avanti ma anche da altre vecchie operazioni, Prodi ha saputo abilmente concentrare tutto il suo controllo su buona parte del credito italiano». Com'è andata a finire è noto a tutti. Sulle macerie della banca più florida italiana son scoppiate liti fratricide e guerre per banche tra ex Ds ed ex Margherita che si rifanno, chi uno chi l'altro, ai big del Pd.

Da Rosy Bindi (amica della moglie di Profumo) al potentissimo consigliere regionale Alberto Monaci, da Giuliano Amato (che in queste terre è stato eletto oltre ad aver rischiato di diventare presidente della Fondazione Mps) al tandem D'Alema-Bersani, da Franco Bassanini, presidente della Cassa Depositi e Prestiti e della Fondazione Astrid, all'ex ministro ed ex rettore dell'università di Siena, Luigi Berlinguer. Che si è ritrovato il figlio Aldo consigliere della banca strapagata a Santander e lui stesso candidato l'anno successivo alle Europee nell'area Nord est. Quella di Antonveneta. (3. Fine)

Gian Marco Chiocci

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