Quanti inutili predicozzi: i bamboccioni aumentano

Piccoli bamboccioni crescono. Di numero. Secondo gli ultimi dati Istat sul 2012, sono ormai 7 milioni i nostri giovani tra i 18 e i 34 anni che vivono ancora con i genitori. Sono 31mila in più dell'anno prima (più i maschi delle femmine). Oggi come oggi sono il 61,2 per cento dei non sposati. Sono sei su dieci. Sono una maggioranza bulgara. Soprattutto, sono il chiaro segnale - definitivo e acclarato - di un nuovo miracolo italiano, passato sottotraccia e quasi inosservato, ma eclatante e unico al mondo: sì, è la “Famiglia Srl“, questa famiglia bombardata e svilita e ridicolizzata nella seconda metà del secolo passato, ad attutire le bordate micidiali della grande crisi. A smorzarne gli effetti devastanti. Se non siamo arrivati al tracollo, se a quanto pare non ci arriveremo neppure stavolta, il merito è di questo modello incredibilmente antico e tradizionale, eppure mai obsoleto, vero e proprio marchio del Made in Italy, capace di lanciare paracaduti e salvagente alle giovani generazioni mollate cinicamente dal sistema, in tutte le sue declinazioni, a partire da quello politico per arrivare fino a quello bancario.
E che cosa dovremmo dire, noi maturi, di fronte a questa ennesima statistica sui giovani? Faccia pure un passo avanti chi ha ancora voglia di liquidarli con lo sprezzante neologismo da nonnismo militare, con quel «bamboccioni» che ad un certo punto ha segnato il nostro costume sociale, tirando una linea netta tra il mondo degli adulti tanto bravi ad essersi costruiti la propria fortuna, lavorando come matti, facendosi un mazzo così dalla mattina alla sera, e pure di notte e pure di sabato e pure di domenica, senza tanti grilli per la testa, una linea netta tra questi padri eroici, imbattibili, indomabili e quel vergognoso circolo di smidollati che sono i loro figli, cresciuti con il sedere nel burro e incapaci di costruirsi il proprio destino. Facciano tutti i passi avanti che vogliono, i supermen delle mie generazioni: io non li seguirò. Io sto fermo e immobile. Non mi permetterò nemmeno stavolta di umiliare i nostri figli con la patente di «bamboccioni», perchè ho la netta convinzione di averli già umiliati abbastanza, abbandonandoli a se stessi, cianciando a vuoto sull'eterno rilancio dell'occupazione giovanile. I veri ridicoli siamo noi. Noi saccenti e scafati che li vogliamo tutti laureati, che pretendiamo vadano a lavorare il giorno dopo la discussione della tesi, che non scappino all'estero, che mettano su famiglia, che prendano una casa propria accendendo un bel mutuo, che magari ci facciano pure nonni in fretta con tanti simpatici bebè. Tutto questo vogliamo dai nostri ragazzi, da questi stessi ragazzi che però non trovano un lavoro neppure se manifestano tanta voglia di lavorare, e se per caso hanno la fortuna sfacciata di trovarlo è con un contratto da precario a termine, sette-ottocento euro il mese, poi sotto un altro, che tanto fa lo stesso. L'abbiamo chiamata flessibilità, blandendoli con l'illusione di creare tante nuove opportunità. Abbiamo costruito questo mondo, niente altro e niente di meglio, adesso magari facciamo pure del sarcasmo sui dati sociali di nuovo conio, sei su dieci in famiglia a cavallo dei trent'anni. Un giorno ho sentito in televisione un tizio delle generazioni ganze, una delle nostre, dire che i giovani dovrebbero pensare subito a farsi la pensione integrativa, per preparare una serena vecchiaia. Io non so da quale misterioso pianeta sbarcasse, ma era convintissimo di quanto diceva. Evidenziava quasi una vena di sottile indignazione per questi ragazzi che non pensano a farsi la pensione integrativa. Certo, questi insulsi ragazzi che con ottocento precarissimi euro al mese dovrebbero mettere su famiglia, farsi la casa con il mutuo, scodellare in fretta dei figli (diamine, cosa aspettano, la società invecchia), e che neppure si preoccupano di predisporre una pensione integrativa.
Niente, io non ho nessuna voglia di seguire quell'esperto nei suoi illuminati ragionamenti. Mi imbarazza. Io eventualmente posso solo compiacermi di vivere nel Paese in cui la famiglia resiste e volentieri dà una mano ai propri figli. A loro, ai ragazzi, non ho consigli da dare, se non quello intramontabile di credere in se stessi, nella speranza che prima o poi.

Se mai, a questi nostri ragazzi posso solo chiedere scusa, a nome di tanta gente che ha dimenticato troppo in fretta cosa significhi essere giovani. Ragazzi, scusateci di tutto. Se potete. E comunque sempre meglio bamboccioni che rimba.

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