Quattro giorni per contare i voti. Ma che Italia è?

Gli scrutini a Nord sono finiti martedì, in Sicilia e a Catanzaro ieri c’era ancora caos sui risultati. Più che la patria del diritto, è la patria del cavillo

Quattro giorni per contare i voti. Ma che Italia è?

Da noi la politica e la buro­crazia - soprattutto certa politica e certa burocra­zia- hanno in orrore la fretta. Infat­ti, in Sicilia e a Catanzaro erano an­cora in corso ieri - con lo scopo d’arrivare all’annuncio dei risulta­ti elettorali di domenica e lunedì scorsi- analisi procedurali e mate­matiche al cui confronto i testi di diritto dall’antichità a oggi e la teo­ria della relatività di Einstein sono roba da ateneo della terza età.

Sul chi e come e con quanti voti abbia vinto nelle amministrative si sono arrovellati, al di qua e al di là dello stretto, talenti straordina­ri. Degni, nella loro eccezionalità, d’altri talenti che hanno elabora­to la nuova legge elettorale sicilia­na; la cui interpretazione, per evi­tare atti di disperazione, dovreb­be essere affidata alla Sibilla cu­mana o, in epoca più vicina a noi, al mago Otelma.

Non mi azzardo a spiegare i termini della questione catanzarese e della questione sici­liana perché anche una sintesi tacitiana occu­perebbe una pagina. Mi limito a una considerazione: il pasticcio calabro-siculo ha tutti gli accessori e tutte le ri­tualit­à che da tempo immemorabile queste vi­cende comportano. Ricorsi di candidati; mobi­litazione della magistratura, delle prefetture, dei sindaci, degli assessorati; alate perorazio­ni di personaggi coinvolti. Cito: «Credo che la città di Catanzaro sia profondamente indigna­ta e che ci sia un problema di immagine e di de­stino stesso della città in termini di democra­zia e di civiltà al suo interno».

Sì, un problema di immagine esiste. Lo rico­noscono, magari con linguaggio retorico, indi­gnados d’ogni colore politico, zittiti dai notabi­li. A quanto m’è sembrato di capire il nodo del­l’­affaire catanzarese sta in una sezione, la 85. Basta quella per bloccare un ingranaggio gigan­tesco.

Si celebrano così,un’ennesima volta,i fa­sti- anzi i nefasti- di quella Italia che non è la pa­tria del diritto, è al più la patria del cavillo.

Possiamo metterci, voi che leggete e io che scrivo, nello schieramento degli indignados .

Le ultime amministrative hanno terremotato il quadro politico, ma certa ignavia e certa inca­pacità burocratica le hanno lasciate intatte. Ci piaccia o no- infatti non ci piace- dobbiamo su­bire le rugginosità, che spesso diventano ini­quità, di procedure cambiate sovente, ma sem­pre in peggio.

A questo punto sono perplesso. Non so se nel nome del politicamente corretto sia oppor­tuno ignorare, nella critica alle lentezze, alle in­certezze, alla confusione, un dato evidente: co­me di solito accade quando emerge questo ti­po di disfunzione, si scopre che la loro radice è al Sud. Ritenendosi maltrattata prima dai pie­montesi e poi dallo Stato centrale, la Sicilia ha voluto fare da sé, accumulando una impressio­nante serie di primati negativi. Da sé ha anche voluto varare una nuova legge elettorale che al­la prima importante esperienza si è rivelata ca­tastrofica.

Mi si accuserà di mutuare queste ar­gomentazioni dal repertorio propagandistico della Lega in un momento che la vede in preda al marasma. Ma capitava che i leghisti fossero, nella loro rozzezza, persuasivi.

Non si tratta, badate bene, di valutazioni de­nigratorie degli individui. L’apparato pubbli­co è, al nord come al centro e come al sud, nelle mani di personale prevalentemente meridio­nale. Ai meridionali sono affidate le strutture pubbliche sia a Como sia a Catanzaro. Sennon­ché a Como la macchina conta voti funziona, a Catanzaro o in Sicilia s’inceppa. S’inceppa benché la diluizione del voto in due giorni ­non lodevole peculiarità italiana - consenta di prendersela comoda.

Non gli individui ma un ambiente, un costu­me o, per usare una parola grossa, una cultura sono all’origine

di differenze altrimenti inspie­gabili. È necessario che gli «Azzeccagarbugli» d’Italia siano tenuti lontano da ogni pratica pubblica. Purtroppo avviene che gli «Azzecca­garbugli » facciano le leggi e poi le interpretino.

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