Ora ci sarà chi troverà mille pretesti per circoscrivere le gesta criminali del ghanese Mada Kabobo a fatto isolato, a raptus o follia, magari a fatale contraccolpo del solito, indistinto «disagio sociale». Qualcuno tornerà a ripetere che la violenza e l'assassinio non sono prerogativa dell'immigrato, clandestino o meno, perché fra noi di violenti e di assassini ce ne sono quanto basta (per cui non ne abbisogniamo di importazione, aggiungiamo) e che dunque le picconate di Mada Kabobo non devono dar luogo a considerazioni che esulino dal mero fatto criminale. Non saremo privati, insomma, del solito, querulo refrain buonista e filo migrante. Procedano pure, ma resta il fatto che la bestiale furia assassina di Mada Kabobo getta ombre sinistre sulla «cultura del diverso», nei cui confronti sarebbe doveroso mostrare apertura, benevolenza, condiscendenza e disponibilità. Resta anche il fatto che il caso Kabobo legittima a chiedersi quanto ampia sia la corresponsabilità morale di quanti predicano la libera e incontrollata immigrazione; si indignano furenti per i «respingimenti»; chiedono la chiusura dei Cpt, Centri permanenza temporanea, dicendoli lager; sbraitano contro i decreti di espulsione e istericamente si battono perché la clandestinità non sia considerata reato, ma diritto umano condiviso e non negoziabile.
Mada Kabobo era già stato raggiunto da provvedimento di espulsione, che non ebbe seguito perché l'interessato presentò ricorso. Risultava tuttavia, in assenza di sentenza o in attesa d'una sanatoria, un «irregolare». Fermato a Milano nel corso di accertamenti di routine, non ostante la sospensione del giudizio, non ostante il suo nome comparisse nel casellario giudiziario per resistenza, rapina, furto, uso e spaccio di stupefacenti, fu lasciato senza sorveglianza. Libero anche di uccidere, come s'è purtroppo visto. È azzardato pensare che tutto ciò sia in qualche modo anche conseguenza del clima buonista e tollerante nei confronti dei «migranti» inseguito dal sindaco Pisapia per la sua Milano «grande laboratorio di molteplici culture ed etnie»? Ed uscendo dalla Cerchia dei Navigli ma avendo pur sempre sott'occhio Mada Kabobo, è fuor di luogo ritenere quanto meno deprecabili le forzature terzomondiste e multiculturali, il promuovere una immigrazione tumultuosa e senza regole, meccaniche cittadinanze seriali, scialo assistenziale e previdenziale senza contropartite, una serie smisurata di spettanze e privilegi, ciò che rappresenta l'essenza della missione della presidente Laura Boldrini, del ministro Cécile Kyenge e, ieri, del ministro Andrea Riccardi? Pur senza necessariamente riconoscergli una qualche supremazia culturale, civile o religiosa, nessuno qui intende sbarrare le porte al «migrante». Però con la politica e la predicazione dell'avanti c'è posto e c'è cuccagna, tanti diritti e qualche dovere facoltativo non è più immigrazione, ma assalto alla diligenza (dove al passeggero va bene se salva la pelle).
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