«Ma quella rivista non rappresenta i cattolici»

«È lecito che Famiglia Cristiana formuli certi giudizi, anche se questo appare del tutto tendenzioso. Quello che non è corretto è attribuirli al mondo cattolico...». Monsignor Rino Fisichella sta trascorrendo qualche giorno di vacanza in montagna prima dell’autunno «caldo» durante il quale dovrà mettere in piedi, dal nulla, il Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione, neonato dicastero che Benedetto XVI ha voluto affidargli. L’arcivescovo, dopo 15 anni, lascerà anche l’incarico di cappellano di Montecitorio, attività che lo ha trasformato nella guida spirituale di molti parlamentari di entrambi gli schieramenti, e in quest’intervista con il Giornale interviene su alcuni dei temi dell’estate politica, dal ruolo e dal disagio dei cattolici al federalismo.
Monsignore, Famiglia Cristiana in queste ore ha accusato Berlusconi di aver spaccato il mondo cattolico. Che cosa ne pensa?
«Penso che un giornale possa formulare giudizi, anche se questo su Berlusconi appare del tutto tendenzioso, dato che in altri momenti storici - ad esempio quando Moro e Fanfani fecero il centrosinistra - ci fu una divisione dei cattolici. Non mi sembra che il problema sia Berlusconi, il problema sono i programmi. In ogni caso non è corretto né giusto far credere che questo giudizio sia stato formulato dal mondo cattolico. I cattolici sono una galassia e si sbaglia pensando di interpretarne il pensiero basandosi su un’editoriale di Famiglia Cristiana o anche su un’analisi formulata da una sottocommissione preparatoria della Settimana Sociale. I vescovi stessi sono chiamati ad esprimersi sull’istanza etica di un programma elettorale, un po’ meno sui singoli interventi che non sono di nostra competenza. Ad esempio non si è detto nulla sul pacchetto sicurezza in quanto tale ma si è parlato, molto, soltanto del decreto riguardante le espulsioni. Poi però magari si tace sul fatto che l’immigrato viene trattato come merce di scambio».
Le ultime settimane sono state un’escalation di divisioni, faide, insulti...
«Stiamo ancora attraversando una fase di cambiamento che dura ormai da troppo tempo e che finisce per logorare il Paese. L’impossibilità di fare delle reali riforme finisce per allontanare i cittadini dalla politica e dalle istituzioni. Manca una visione d’insieme. Quando alle uscite polemiche e alla gara a chi la spara più grossa: non credo che questo abbia realmente a che fare con la politica, la quale invece si basa sulle scelte a favore del bene comune e della vita e non sulle battaglie verbali o sulla pura gestione del potere».
Più d’uno, in questi giorni, ha parlato dei «disagio dei cattolici». In che cosa consiste?
«Beh, abbiamo vissuto nel passato anche recente stagioni così diverse e così drammatiche da non doverci spaventare per il momento di oggettiva confusione e debolezza che attraversa l’Italia. Più che parlare di disagio, credo sia necessario rafforzare la convinzione nei cattolici ad assumersi responsabilità politiche che non possono essere demandate ad altri».
Non crede che i cattolici siano in questo momento un po’ emarginati dalla scena politica?
«Non credo siano emarginati, non credo siano ininfluenti. Al contrario, ritengo l’impegno dei cattolici determinante per il progresso del Paese. Bisogna essere miopi per non accorgersi che ci sono tanti uomini e donne che magari non si vedono spesso in Tv, ma che s’impegnano per il bene comune e sono coerenti con la loro fede».
Il direttore Feltri si è detto sicuro che arriverà il «soccorso cattolico» di Casini al governo. Condivide?
«Non intendo entrare nel merito delle strategie politiche. Posso però dire che evidentemente, là dove c’è l’esigenza di dare delle risposte significative al Paese in un momento di crisi, la presenza dei cattolici non è mai venuta meno. Non è discriminando le posizioni dei cattolici né tantomeno ricorrendo all’insulto che si può pensare di fare il bene dell’Italia».
Nei giorni scorsi il cardinale Bagnasco ha spiegato che il federalismo non dovrà disgregare. Il suo giudizio?
«Mi sembra che la riforma sia al vaglio del Parlamento, ci sarà un confronto e un dibattito. Bisogna mantenere fermo il principio dell’unità, dell’identità che si è rafforzata in questi ultimi 150 anni e che non può essere umiliata. Bisogna fare in modo che il federalismo favorisca lo sviluppo di quelle zone del Paese più carenti di strutture. Anche qui, non voglio e non posso entrare in questioni tecniche. Mi limito però a ricordare che i cattolici non sono affatto nuovi a queste sensibilità, a meno di dimenticare figure come Rosmini, Gioberti e lo stesso Tocqueville, il quale, parlando della democrazia americana, elogiava il contributo dato dai cattolici all’unità del Paese nella diversificazione degli Stati. La sussidiarietà, la valorizzazione della società e delle sue istanze, fanno parte della dottrina sociale della Chiesa».
Dopo l’uscita di Fini dal Pdl in molti ormai parlano di elezioni. Come vede il ricorso alle urne in questo momento?
«Domanda legittima, ma la risposta deve essere data nelle sedi competenti e soprattutto da chi riveste il ruolo istituzionale per poterla dare. Io mi limito ad auspicare, da cittadino, che si recuperi il senso di responsabilità e che si cerchi finalmente di dare quelle risposte che il Paese attende».


Se l’arcivescovo dovesse indicare due di priorità?
«Vista l’emergenza educativa che vive l’Italia, mi auguro che davvero si mettano in atto strumenti che garantiscano la libertà di educazione. Un altra emergenza riguarda la famiglia e la necessità di introdurre il quoziente familiare».

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