Quell'irritazione per la sfida leghista sull'impiego della Marina

La premier pressata dal Carroccio, ma vuole evitare il rischio di affondamenti e accuse Ue. Calderoli: «Meno problemi quando Matteo era ministro

Quell'irritazione per la sfida leghista sull'impiego della Marina
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Il parallelo è quello del 27 giugno 2017. Quel giorno - mentre l’allora ministro dell’Interno Marco Minniti volava verso Washington - l’Italia fronteggiava l’arrivo di 8.500 migranti.
Il ministro Pd rientrò in Italia e, senza avvertire Bruxelles, s’invento una missione per «governare» da Tripoli la neonata guardia Costiera libica. Il tutto mentre la nostra intelligence si comprava le milizie coinvolte nel traffico di uomini. Oggi Giorgia Meloni fronteggia una situazione analoga, ma molto più complessa. Per la Libia di Fayez Serraj l’Italia di Minniti era la potenza di riferimento. E questo ci consentiva di infischiarcene dell’Europa. Con la Tunisia e l’Europa del 2023 non va così. Per quanto la Meloni sia uno dei pochi capi di governo in grado di interloquire con Kais Saied, il presidente tunisino resta un personaggio imprevedibile. Questo riempie di incognite l’ipotesi, evocata da Matteo Salvini, di un dispiegamento della nostra Marina militare non concordato con Tunisi.

La Lega alza il tiro, la premier sarebbe irritata, e il ministro Roberto Calderoli punge: «Quando Salvini era ministro degli Interni tutto ciò non si verificava. A buon intenditor poche parole».
Altro problema è che, a differenza di Minniti, la attuale premier non può vantare le certificazioni di rispetto dei diritti umani che l’Europa riconosce solo alla sinistra. Questo limita qualsiasi azione ispirata al pugno di ferro.

«Lavoriamo - spiega a Il Giornale una fonte del Governo - su un crinale assai scivoloso. Negli ultimi 5 giorni sono partiti dalle coste tunisine 291 barchini di massimo 7 metri costruiti saldando piastre di metallo. La Marina militare oltre a non poter fermare un simile sciame rischierebbe di affondare quei gusci di noce creando l’occasione perfetta per accusarci di violazione dei diritti umani e ridisegnando intorno alla Meloni l’immagine estremista incollatole nei primi mesi di governo.
Per questo via diplomatica e interlocuzione con Tunisi sono, per ora, le uniche vie contemplata dalla premier».

La presidente dell’Europarlamento, la maltese Roberta Metsola ieri ha fatto sapere di aver parlato con Meloni: «Lampedusa è l’Europa. E l’Europa deve rispondere insieme». La via diplomatica ha, però, molte sfaccettature.

Quella economica potrebbe prevedere l’anticipo da parte dell’Italia dei 255 milioni di aiuti che l’Ue doveva versare «immediatamente» a Tunisi in base al Memorandum del 16 luglio. Questo consentirebbe a Saied di pagare gli stipendi alle forze di sicurezza e riprendere il blocco delle partenze utilizzando motovedette e mezzi già forniti dall’Italia. E rilanciare la caccia ai trafficanti di uomini gestita - sotto-traccia - con la nostra intelligence. A questo si potrebbero aggiungere azioni mirate per fermare i fabbricanti dei barchini.

Cruciale sarà però l’azione diplomatica del ministro degli Esteri Antonio Tajani sul fronte dell’Onu. Il lavoro di Tajani potrebbe garantire un possibile intervento sul territorio tunisino dell’Oim, l’«Organizzazione internazionale per le migrazioni» che da qualche anno sperimenta con buoni risultati il rimpatrio dei migranti direttamente dal territorio libico.

La collaborazione tra Italia, Tunisia e un’organizzazione legata all’Onu per agevolare il rimpatrio diretto dei migranti bloccati in mare potrebbe rivelarsi la soluzione capace di garantire sia il doveroso rispetto dei diritti umani, sia quella difesa dei confini esterni europei che Bruxelles evoca, ma si guarda bene dal realizzare.

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