Prima gli arresti, poi le espulsioni. Non accenna a fermarsi la persecuzione ai danni della Chiesa cattolica in Nicaragua. Pochi giorni fa, dopo essere stati arrestati dalla polizia nazionale, sette sacerdoti sono stati cacciati dal Paese centroamericano. Si tratta di Fray Silvio Romero della diocesi di Chontales e di Harvin Tórrez, Edgard Sacasa, Víctor Godoy, Jairo Pravia, Ulises Vega e Marlon Velásquez della diocesi di Matagalpa. La notizia è stata data in un comunicato stampa secondo cui "sette sacerdoti nicaraguensi hanno lasciato il Nicaragua per Roma, Italia, sono arrivati sani e salvi e sono stati ricevuti dalla Santa Sede". Il tono soft della nota nicaraguense nasconde però la cruda realtà: i preti sono stati prima arrestati nelle loro parrocchie, portati nella capitale e poi espulsi a Roma. L'ennesimo episodio della guerra anti-cattolica scatenata dal regime sandinista di Daniel Ortega e di sua moglie Rosario Murillo ed iniziata nel 2018 dopo che la Chiesa non rimase in silenzio di fronte alla violenta repressione delle proteste della popolazione.
La persecuzione
Questa settimana la persecuzione anti-cattolica del regime di estrema sinistra ha conosciuto un'ulteriore accelerata: sono stati segnalati diciassette arresti tra sacerdoti e diaconi. La più colpita è la diocesi di Matagalpa, la stessa di monsignor Rolando Álvarez, l'uomo simbolo della resistenza cattolica. Prelevato con la forza nell'agosto del 2022 mentre si trovava nella Curia episcopale, il vescovo è stato condannato dal regime a 26 anni di carcere dopo aver rifiutato l'esilio negli Stati Uniti. Monsignor Álvarez è stato tenuto in carcere per 528 giorni, la maggior parte dei quali in una cella di massima sicurezza. Nel gennaio del 2024 Álvarez è stato rilasciato per essere esiliato a Roma insieme ad un altro vescovo, quindici sacerdoti e due seminaristi. Questa operazione era stata salutata con toni disentivi da Managua che aveva emesso un comunicato per ringraziare il Papa e il suo cardinale segretario di Stato Pietro Parolin "per il coordinamento molto rispettoso e discreto realizzato". Due mesi più tardi, un altro messaggio benaugurante era arrivato in occasione dei 75 anni del cardinale Leopoldo Brenes Solórzano, arcivescovo metropolita di Managua: la vicepresidente Rosario Murillo, moglie di Ortega, aveva detto che "i giorni delle campane e dei vetri rotti" erano alle loro spalle. Gli arresti di questa settimana, però, dimostrano che non è così. Il cardinale Brenes Solórzano, peraltro, nonostante sia stato aggredito in prima persona da gruppi paramilitari legati a Ortega nel 2018 nella chiesa di San Sebastiano di Diriamba, viene fortemente criticato da una componente dell'opinione pubblica cattolica nicaraguense perché giudicato troppo morbido con il regime. Non è passato inosservato il suo silenzio di questi giorni di fronte ai recenti arresti.
La crisi col Brasile
Il persecuzione di Ortega-Murillo dal 2018 ad oggi ha portato alla sospensione di quasi 8000 celebrazioni religiose, l'espulsione di circa 80 religiosi e 70 suore, lo spegnimento delle radio cattoliche, la confisca di beni. Una situazione che ha suscitato la reazione del Brasile, il Paese col più alto numero di cattolici nel mondo. Lula, su indicazione del Papa, ha provato a svolgere una mediazione con Ortega per allentare la presa del regime sulla Chiesa e favorire la liberazione di monsignor Álvarez ma le proteste brasiliane per la persecuzione in atto hanno indispettito il presidente nicaraguense. La tensione ha portato all'espulsione reciproca degli ambasciatori, facendo segnare una crisi diplomatica particolarmente rilevante se si tiene in considerazione l'affinità ideologica tra i due leader.
Lula ha preferito sacrificare le relazioni con il Nicaragua anziché correre il rischio di scontentare una parte importante del suo elettorato di fede cattolica, indignato per l'ondata di arresti e di sopraffazioni contro la Chiesa nel Paese centroamericano.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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