Il racket dei sequestri per «recuperare» i bambini contesi

Il racket dei sequestri per «recuperare» i bambini contesi

Nel sito ufficiale promettevano operazioni in tutto il mondo, compreso il recupero di bambini. E specificavano anche «con ogni mezzo a disposizione». Che questi non fossero soltanto mezzi legali lo ha scoperto la Dda di Palermo con l'inchiesta «Caronte»: sette arresti e l'accusa gravissima di gestire un traffico internazionale di minori finalizzato al «recupero» di bimbi contesi tra genitori separati e di nazionalità diverse. Papà e mamme disposti a tutto pur di riprendersi i figli sottratti dal coniuge e portati all'estero, a sborsare fino a 200mila euro e ad accettare i rischi di veri e propri sequestri di persona con ricorso ad armi, fascette immobilizzanti, spray urticanti, sonniferi, taser. Vere e proprie missioni paramilitari a cui prendevano parte anche i veterani dei corpi speciali delle forze armate straniere.
La banda aveva sedi in mezzo mondo ma base logistica in Sicilia, per sfruttare la vicinanza con il Nord Africa, dove avvenivano gran parte dei sequestri e dalla quale i piccoli rapiti venivano trasportati via mare verso i paesi europei. A mettere a disposizione le imbarcazioni era l'ucraina Larysa Moskalenko, 50 anni, ex campionessa olimpica di vela, bronzo a Seul, trapiantata da una ventina d'anni a Palermo dove gestisce una società di noleggio barche di lusso, la «Sicily rent boat». Larysa è anche la compagna del titolare dell'albergo Portorais di Cinisi, nei pressi dell'aeroporto Falcone Borsellino, distrutto nel maggio del 2012 da un incendio doloso. È dalle indagini sul quel rogo, ascoltando alcune intercettazioni, che gli investigatori hanno capito cosa si nascondeva dietro l'attività della società di sicurezza privata norvegese «Abp World Group». In manette, oltre alla donna ucraina, sono finiti Luigi Cannistraro, 30 anni, di Palermo, Antonio Barazza, 46 anni, skipper di Mazara del Vallo e Sebastiano Calabrese, 38 anni, di Reggio Calabria. Tre ordinanze devono essere invece eseguite all'estero per rogatoria nei confronti di due norvegesi, l'ex militare Martin Waage, 40 anni, presidente della Abp, considerato la mente del gruppo, e Elisabeth Wenche Andresen, 47 anni, e di uno svedese, Ake Helgesson, 54 anni, attualmente detenuto in Tunisia. Gli arrestati devono rispondere a vario titolo di associazione a delinquere, tratta di persone, sequestro di persona e sottrazione e trattenimento di minore all'estero. Il reato associativo è aggravato dal fatto che l'organizzazione operava in più di uno stato (Tunisia, Cipro, Egitto, Libano, Ucraina).
All'origine di ogni operazione c'era sempre il divorzio di una coppia di diverse nazionalità. Storie di cronaca all'ordine del giorno, di affidamenti contrastati, di papà o mamme che decidono di trascinare con sé in patria il figlio conteso contravvenendo al parere del giudice. Troppo lente e farraginose le vie ufficiali per riavere con sé i bambini portati via. Con la «Abp World Group» al genitore affidatario l'impresa sembrava più facile, più veloce. Visto che, come avrebbe ammesso la Moskalenko in alcune intercettazioni, pare che l'agenzia potesse contare sul silente avallo dei governi dei Paesi nei quali principalmente operava, ovvero la Svezia e la Norvegia. A conferma di ciò negli atti i pm lamentano la poca collaborazione alle indagini offerta dalle autorità giudiziarie e dalla polizia di volta in volta contattate tramite Interpol ed Eurojust.
Ogni blitz era preparato nei dettagli, anche con il ricorso a fidanzate di copertura selezionate tra escort che parlassero almeno inglese e francese per non dare nell'occhio. Dopo la ricognizione dei luoghi in cui il bambino era trattenuto scattava il sequestro con l'utilizzo di vari mezzi, armi comprese. In un caso gli indagati avrebbero cercato di far entrare in Italia delle mitragliette attraverso un ex colonnello del Kgb.

All'inizio del 2012 la prima operazione: un bambino viene rapito in Tunisia e portato a Palermo (prima di essere consegnato in Norvegia) da un'imbarcazione condotta dallo skipper Barazza dopo aver «unto» le autorità di frontiera tunisine per evitare controlli.

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