Ricordare Randolfo Pacciardi. Dopo che è stato volutamente e troppo a lungo dimenticato. Un personaggio controverso, amato e discusso. Una figura significativa come poche altre nel Novecento italiano, che ne ha attraversato alcune delle vicende più importanti, con un alone quasi leggendario. A ricostruire questa figura arriva ora «Profilo politico dell’ultimo mazziniano» (Rubbettino, 224 pagine), il nuovo volume di Paolo Palma, giornalista, politico e storico già allievo di Renzo De Felice, che ha dedicato gran parte dei suoi studi proprio a Pacciardi.
Mazziniano, eroe antifascista e poi convinto anticomunista, presidenzialista e gollista. Basterebbero questi pochi tratti a disegnare il profilo di un eretico, com’era questo avvocato e giornalista nato nell’ultimo anno dell’Ottocento a Giuncarico (in Maremma) e morto ventuno anni fa dopo una sorta di ostracismo cui fu sottoposto in primo luogo da tanti suoi ex amici. Eppure quella di Pacciardi è stata per qualche lustro una stella di prima grandezza della politica italiana. Fu vicepresidente del consiglio dei ministri nel governo di Alcide De Gasperi nel 1947, poi per 5 anni ministro della Difesa e come tale fra gli artefici della riorganizzazione dell’esercito italiano dopo la seconda guerra mondiale ma soprattutto dell’ingresso del Paese nella Nato. Fra le due guerre, sotto il regime, era stato condannato a 5 anni di confino, esule in Austria, in Svizzera e in Francia e poi eroe della guerra di Spagna. Lui che era stato bersagliere e decorato nella prima guerra mondiale, fra il ’36 e il ’37 guidò il battaglione italiano Garibaldi a Madrid, poi fu ferito a una guancia e a un orecchio e partecipò alle ultime fasi della Battaglia di Guadalajara. Conobbe Ernest Hemingway, all’epoca corrispondente per la Guerra civile spagnola.
La seconda guerra mondiale lo trova fra Parigi, Casablanca e poi negli Usa. Dopo averlo guidato nella fase della clandestinità, Pacciardi divenne (per acclamazione) segretario del Partito repubblicano e fu poi confermato per tre volte fino all’ingresso nel governo. Era la fase dell’ingresso nel Pri degli ex azionisti come Ugo La Malfa. La sua linea politica fu sempre rigorosamente centrista, favorevole alla collaborazione con la Dc degasperiana e con le altre forze laiche e repubblicane. Ai funerali dello statista democristiano, fu tra coloro che portarono a spalla la sua bara, in Trentino. Rieletto nella seconda, terza e quarta Legislatura, Pacciardi fu convinto oppositore del centrosinistra. Fu messo in minoranza dalla corrente di La Malfa, votò contro il primo governo di Aldo Moro, e fu espulso dal «suo» partito e ostracizzato, insieme ai suoi. Fra questi Giuseppe De Andrè, padre di Fabrizio, già vicesindaco di Genova, repubblicano come lui. E proprio al primo matrimonio di Fabrizio, quello «alto-borghese», Pacciardi fu testimone di nozze come amico di famiglia.
Dopo lo scontro interno al Pri iniziò la seconda fase della sua vita politica, la più discussa, quella che Palma definisce come il passaggio da un «anticomunismo democratico a un anticomunismo senza aggettivi». Fondò l’«Unione popolare democratica per una nuova Repubblica, che non ottenne seggi in Paramento, e propugnò una svolta gollista e presidenzialista (all’americana). Una riforma considerata poco meno che fascista praticamente in tutti i partiti del cosiddetto «arco costituzionale» e dalla gran parte dei politici, compresi quelli che pure avevano nel loro dna il presidenzialismo, lo stesso presidenzialismo che un grande giurista democratico e azionista come Piero Calamandrei aveva proposto alla Costituente e che Bettino Craxi avrebbe sdoganato qualche anno dopo nel campo della sinistra democratica. Eppure queste posizioni valsero a Pacciardi l’isolamento. Ancora oggi il sito dell’Anpi lo accredita di «simpatie neofasciste e golpiste», mentre Palma parla di contatti con personaggi discutibili - riconoscendolo come l’unico neo della sua lunga e avventurosa vita - che non fu al riparo da suggestioni considerate dai più tecnocratiche o addirittura autoritarie. Nel 1979 Pacciardi chiese la riammissione al Pri, che gliela concesse due anni dopo. Nello stesso anno visitò Ugo La Malfa sul letto di morte. Dieci anni dopo morì e la sua orazione fu tenuta da Gustavo Raffi, poi gran maestro del Grande oriente d’Italia.
E si concluse così l’esistenza quasi centenaria di un grande personaggio, del quale si disse addirittura che ispirò il registra Michael Curtiz nel girare il capolavoro Casablanca, con Humphrey Bogart e Ingrid Bergman (sicuramente ricevette e accettò la proposta di visionarne le scene per una sorta di consulenza storica). Un personaggio controverso, che altrove sarebbe stato celebrato come un grande, e che solo nell’Italia dei dogmi partitocratici poteva essere emarginato, costretto all’isolamento, dimenticato.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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