Renzi pugnala Letta, Pd nel caos

Sul caso Ablyazov il sindaco di Firenze vuole che Letta vada in parlamento per chiarire. Dal Pd nessun applauso ad Alfano

Renzi pugnala Letta, Pd nel caos

Roma - «L'assemblea del gruppo Pd prevista per questa sera è rinviata ad altra legislatura». Il messaggino che girava ieri pomeriggio sui cellulari dei parlamentari democrat era l'opera di un burlone (insider) ma la dice lunga sul clima che si respira nel partito del presidente del Consiglio. Il quale, da Londra dove incontra Cameron, fa sapere di essere «ottimista sulla stabilità del governo», che «supererà questi ostacoli». Ma sa bene che la tensione interna è alle stelle.

Ufficialmente dal Pd non dovrebbero arrivare voti alla mozione di sfiducia ad personam presentate da Sel e M5S contro il ministro degli Interno Angelino Alfano: «Neanche per sogno», assicura il renziano Paolo Gentiloni. Ma la linea della difesa a tutti i costi del governo di larghe intese vacilla ogni giorno di più, e ieri puntuale è arrivato un nuovo duro strappo di Matteo Renzi, sul dossier più scottante: «La vicenda della kazaka Alma Shalabayeva riguarda il presidente del Consiglio dei ministri, che dovrà andare alla Camera, prendere posizione e decidere se le motivazioni di Alfano lo hanno convinto o no», dice il sindaco di Firenze, perché «la questione in gioco è la credibilità del Paese». Una presa di posizione che preannuncia un'escalation del dissidio dentro il Pd, che forse non arriverà al voto di sfiducia ma indebolisce ugualmente il governo. La notte democratica è stata agitata e qualcuno ha fatto sapere agli alleati del Pdl che ora il Pd non può garantire che un gruppo di dissidenti non decida comunque di dare un segnale e votare contro. Letta, che sperava di stare fuori dal caso kazako, è stato molto chiaro con i dirigenti del suo partito, che gli facevano presente il mal di pancia interno e le difficoltà a difendere Alfano, chiedendogli di «staccare il destino del ministro da quello dell'esecutivo» e di sacrificare uno scalpo importante per consentire al Pd di compattarsi a sostegno del governo (e tacitare anche Repubblica e il suo cannoneggiamento). «Ci ha spiegato che non esiste, che se cade Alfano nel Pdl vincerebbero i falchi e la maggioranza salterebbe, e che il rapporto di fiducia e lealtà che ha con il vicepremier non è sostituibile». Dunque il Pd non ha scelta, se non vuole aprire la crisi. Il segretario Epifani cerca di tenere buoni i suoi usando toni duri contro Alfano («Se sapeva deve dimettersi») e ribadendo però che la crisi va evitata. Ma rischia di alimentare la confusione: «Se questa è la linea, allora deve chiederci di votare la mozione di sfiducia», tuona il senatore Esposito.

Se il Pdl fa quadrato attorno all'esecutivo, dice che «deve andare avanti» e ribadisce il proprio «totale e pieno sostegno» al vicepremier, il Pd traballa vistosamente. Il bersaniano Zoggia fa la voce grossa contro Renzi: «Il Pd è chiamato a una prova di coesione sul governo» e «non è consentito a nessuno fare più uno sull'anti-berlusconismo». E minaccia: «Questo percorso», ovvero il governo delle larghe intese, «o si fa assieme o ne va anche del nostro stare assieme». In ballo c'è l'esistenza stessa del Pd, di cui Renzi vuol fare il leader: se non è una minaccia di scissione anti-renziana, poco ci manca.

«Se non ci spacchiamo su Alfano ci spaccheremo sulla vicepresidenza della Camera alla Santanchè, o sul prossimo problema: basta aspettare, prima o poi la partita congressuale del Pd si scaricherà tutta contro il governo», sospira fatalista un parlamentare vicino a Franceschini.

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