Renzi resta senza coperture e va all'attacco dei sindacati

Il timore del premier è che sul bonus da 80 euro abbiano ragione i "gufi". Così si scaglia contro i suoi oppositori. Angeletti (Uil): ha più nemici nel Pd

Renzi resta senza coperture e va all'attacco dei sindacati

Su Twitter apostrofa amichevolmente i critici con il tag «amicigufi». Nel mondo reale, Matteo Renzi riserva a chi gli rema contro messaggi di tutt'altro tono. A testa bassa contro i sindacati e le loro riserve (per la verità blande) sulle politiche per il lavoro e l'economia. Durissimo contro gli uffici tecnici del Senato che hanno espresso dubbi sulle coperture delle sue misure. Da qualche giorno, insomma, è iniziata un'altra fase per il premier Matteo Renzi. Meno piacione e meno tollerante verso chi non condivide le sue politiche.

Una stilettata irrituale ieri l'ha riservata - tramite tre colloqui con il Corriere della Sera, la Repubblica e il Fatto quotidiano - ai tecnici del Senato che venerdì scorso hanno espresso dubbi sulle coperture del decreto Irpef, quello con il bonus per i redditi fino a 26 mila euro. Al Corsera: «I tecnici del Senato casualmente esprimono dubbi. L'avevo messo in conto». Io «so che si può fare. Vince chi molla per ultimo». In versione hard al Fatto: «Sarei curioso di sapere quanti di quelli che contestano le coperture degli 80 euro hanno stipendi sopra il tetto dei 240mila euro, e ovviamente è un caso che quelle critiche vengano dal Senato che voglio abolire». Poi, una frase che sa di minaccia: «Hanno capito che è cambiato il vento, che anche loro rischiano tagli alle retribuzioni».

I rilievi degli uffici parlamentari sono - al contrario di quello che emerge dalle parole di Renzi - una prassi. Hanno colpito regolarmente anche i predecessori e di solito ci azzeccano. Nella fattispecie, da Palazzo Madama erano arrivati dubbi sull'entità delle coperture: dall'Iva sui debiti della Pa restituiti, all'aumento della tassazione sulle rendite finanziarie. Stime del governo a rischio sul costo del taglio Irap e dubbi sulla costituzionalità dell'operazione Bankitalia.
La preoccupazione di Renzi è che, alla fine, gli «amicigufi» abbiano ragione, che le coperture mostrino tutti i loro limiti. E per questo ora preferisce spostare l'attenzione su un altro fronte di polemica, quello con i sindacati, decisamente più favorevole a lui vista l'impopolarità della controparte.
Nei giorni scorsi Cgil e Cisl hanno bocciato le modifiche al decreto lavoro (in particolare la sanzione pecunaria per le aziende che supereranno la soglia del 20% di contratti a termine). Critiche all'acqua di rose, visto che per il resto il pacchetto lavoro è stato cambiato proprio grazie al pressing dei confederali.

Eppure ieri Renzi si è scagliato contro i sindacati. «È iniziata la rivoluzione. Una rivoluzione pacifica», che le «resistenze del sistema non fermeranno». Il riferimento è alla burocrazia e ai sindacati che, «come la politica, devono farsi un esame di coscienza, devono cambiare. Non vorrei che la polemica derivasse dal fatto che si dimezza il monte ore dei permessi sindacali». A Repubblica: «Gli stiamo levando il potere».
Più che Matteo Renzi, sembra di sentire il suo babbo, Tiziano, che ieri ha risposto per le rime a Piero Pelù definendolo un personaggio che «spara merda sulla mia famiglia» per «vendere un disco in più».
Fumantini toscani doc nella versione buona. Oppure, almeno nel caso del premier, una reazione volutamente eccessiva. Come sembra emergere dalle parole del leader Cisl Raffaele Bonanni: «Invece di allearsi con le realtà che lo possono aiutare, addirittura gli tira un calcio negli stinchi».

Rilancia il segretario generale della Uil Luigi Angeletti: «I sindacati non frenano le riforme». Il premier stia «sereno e tranquillo» perché ha più avversari «nella maggioranza e nel suo partito». Renzi lo sa, ma preferisce colpire «gufi» meno pericolosi.

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