Il renziano di ferro che a pranzo spende 130 euro

Il deputato Pd Carbone è accusato di aver usato soldi pubblici per cene e viaggi

Il renziano di ferro che a pranzo spende 130 euro

Da un lato c'è il collegio sindacale della «Sin» (Sistema nazionale integrato per lo sviluppo dell'agricoltura), la Spa a partecipazione pubblica della quale è stato presidente e amministratore delegato per quasi un anno, che lo dipinge come un furbetto dei rimborsi, accusandolo di aver usato illegittimamente soldi pubblici - oltre 15mila euro - per pranzi, cene e viaggi. Dall'altro c'è lui, Ernesto Carbone, ex presidente e ad della «Sin», oggi deputato Pd e renziano doc, che querela e contrattacca insinuando che gli attacchi che la sua ex società gli muove siano legati alle denunce di sprechi e anomalie da lui stesso presentate alla Procura di Roma e alla Corte dei conti. In mezzo c'è il Fatto Quotidiano, che già prima di Natale aveva denunciato le spese allegre dell'amico del segretario del Pd, e che ieri ha rilanciato, pubblicando il carteggio tra Carbone e la società, e soprattutto le ricevute, salatissime, dei convivi del suo ex presidente oggi uomo di punta del rottamatore-leader.

Un brutto colpo per l'immagine di Carbone, uno degli esponenti di punta del cerchio magico di Renzi (del sindaco di Firenze è amico personale da anni), un giovane rampante dal curriculum che stupisce, considerato che non ha ancora 40 anni (li compirà a giugno): già collaboratore di Romano Prodi alle Politiche del 2006 (ma il Professore sul suo sito smentisce che sia stato suo assistente in Commissione Ue, come pure risulta in vari articoli), già vicino a Massimo D'Alema (è stato direttore dell'associazione Red), già braccio destro dell'ex ministro Paolo De Castro. «Equivicino a Massimo D'Alema e a Enrico Letta», lo definì una volta Il Foglio. E forse proprio questa sua poliedricità ha proiettato Carbone, calabrese d'origine e bolognese d'adozione, nell'Olimpo dei posti che contano.

Come quello ai vertici della «Sin», società a partecipazione pubblica con ottima cassa, visto che dispone di oltre 7 miliardi di euro da distribuire agli agricoltori. Le ricevute contestate dal collegio sindacale, obiettivamente, sono imbarazzanti: un pasto da 130 euro per una sola persona al ristorante romano «Ottavio», un altro, per quattro persone, da 187 euro ai «Due Ladroni», sempre nella Capitale. E poi viaggi in treno, in prima classe, tra Roma e Bologna, taxi, aperitivi, un viaggio aereo in Croazia. Totale del conto contestato dalla «Sin»: 15.770,05 euro, in meno di un anno. Il collegio sindacale della società parla di spese «ingiustificate», di «gravità delle irregolarità e illegittimità riscontrate». Ma Carbone contrattacca. «Ho già sporto querela contro Il Fatto e sto valutando se farne un'altra – dice il deputato Pd, contattato telefonicamente dal Giornale – si trattava di spese autorizzate in quanto presidente e amministratore delegato. Prima di me in “Sin” non c'era un regolamento per le spese di rappresentanza, sono stato io a farlo. La verità è che il collegio sindacale ce l'ha con me per i tagli che ho fatto, 23 milioni su 80, e per le denunce presentate alla Procura di Roma e alla Corte dei conti dopo le mie dimissioni.

Quando mi sono insediato ho restituito subito le due auto blu, mi sono ridotto lo stipendio decurtandolo di un quinto, da 480mila a 70mila euro. Altro che sprechi, io ho risanato la società». E questo attacco? Legato alle denunce? «Probabile», replica Carbone. Quella delle spese allegre non è per lui la prima tegola.

Nei mesi scorsi, infatti, il deputato piddino è finito invischiato, a Forlì, in un processo per reati informatici, per intrusione nel profilo Facebook della sua ex, consigliera comunale Pd. Una storiaccia imbarazzante. Ma ancora una volta è caduto in piedi: «Sono stato assolto».

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