Un pranzo con Denis Verdini e un incontro con Paolo Romani con al centro del dibattito la questione riforme. Poi una riunione con Giovanni Toti, con un occhio al rilancio del partito, sempre più impellente secondo un Silvio Berlusconi pronto a benedire la riunificazione del fronte moderato in vista delle prossime elezioni politiche. Che, spera l'ex premier, potrebbero non essere così lontane. Lo ha detto ieri nella lunga intervista per i 40 anni del Giornale, ma lo va ripetendo da giorni a tutti i suoi interlocutori. «Dobbiamo assolutamente aprire il confronto con tutte le forze di centrodestra e dobbiamo farlo al più presto», è il senso dei ragionamenti del leader di Forza Italia.
Ed è proprio dal partito che vuole partire Berlusconi. Tanto che a breve potrebbe convocare quell'ufficio di presidenza che fino a ieri sembrava essere congelato fino a dopo l'estate. La campagna del tesseramento è infatti iniziata e la riunione servirebbe a dare il via libera ai congressi comunali e provinciali che dovrebbero tenersi tra settembre e ottobre. Con buona pace di Raffaele Fitto che sosteneva invece con forza la necessità di individuare la nuova classe dirigente azzurra attraverso le primarie e non con i congressi. E proprio ieri Fitto ha deciso di dimettersi da deputato per sedere al Parlamento europeo, «onorando - spiega - il mandato degli elettori e rispettando l'impegno preso con i 284mila che mi hanno votato». È da Bruxelles, insomma, che continuerà la sua partita all'interno di Forza Italia, visto che - nonostante la tregua di questi giorni - lo scontro dentro il partito non è affatto finito.
Sul fronte riforme, invece, Berlusconi conferma il via libera al nuovo Senato, anche se inizia a manifestare qualche dubbio sul movimentismo di Matteo Renzi. L'incontro di ieri con il M5S e l'apertura «condizionata» del premier ai grillini sulla nuova legge elettorale non sono infatti un buon segno. Il leader di Forza Italia, dunque, pur sapendo che difficilmente Renzi si metterebbe nella mani di Grillo, inizia però a sospettare che possa avere la tentazione del cosiddetto «doppio forno». Non è un caso che ieri proprio Romani abbia ribadito la centralità di Forza Italia che, spiega il presidente dei senatori azzurri, «fin dall'inizio ha assunto un ruolo determinante nel percorso riformatore» tanto che «la legge elettorale ha visto l'approvazione alla Camera proprio grazie ai voti decisivi di Forza Italia».
Sul fronte alfaniano, invece, l'Ncd non balla coi Lupi. Il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi, infatti, rompe gli indugi: resterà al ministero; niente dimissioni per volare a Strasburgo. Una decisione presa in zona Cesarini perché il Parlamento europeo si riunisce in seduta plenaria l'1 luglio e prima di quella data Lupi avrebbe dovuto comunicare ufficialmente le proprie eventuali dimissioni. Lupi resta dov'è ma fonti alfaniane confermano che un pensierino all'euroseggio l'ha fatto eccome. Di più: sul suo futuro c'è stata una lunga trattativa con Renzi; andata male, tuttavia. Gli alfaniani avevano chiesto garanzie sul rimpasto: avere lo stesso peso in termini di uomini. Ma da Renzi sarebbe arrivato un «niet».
Il rimescolamento della carte con Lupi a Strasburgo avrebbe avuto effetti politici pesanti proprio nel partito di Alfano. Lupi si sarebbe occupato di Europa con la mano sinistra mentre con la destra avrebbe potuto prendere in mano un partito che soffre la mancanza di un timoniere forte.
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