Il ritardo costa caro: oltre 800 milioni di mora e interessi

L'obbligo dei due mesi è scattato dal 2013. E il conto è già salato

Il ritardo costa caro: oltre 800 milioni di mora e interessi

Roma - Quanto potrà costare al contribuente il ritardo con cui la stragrande maggioranza delle amministrazioni, centrali e locali, pagano i propri debiti con le aziende committenti? Molto, anzi moltissimo. Dal primo gennaio 2013, infatti, è entrata in vigore la direttiva europea sui pagamenti che prevede salatissimi interessi di mora per chi non paga nei tempi previsti, 30 giorni nella norma e 60 giorni nel settore della sanità. Il tasso d'interesse è dell'8% l'anno più il tasso centrale Bce, attualmente allo 0,25%. Questo significa che per ogni miliardo di arretrato, le amministrazioni «colpevoli» dovranno pagare 82 milioni e mezzo di euro. E se è vero che nel 2013 e in questo scorcio di 2014 le amministrazioni pubbliche hanno accumulato una decina di miliardi di fatture non pagate nei tempi giusti, si potrebbero persino superare gli 800 milioni.
Sui tratta di cifre enormi, ancora più importanti in tempi di vacche magre come gli attuali. Ma ai burocrati dell'amministrazione centrale e di quelle periferiche, che cosa importa? Si tratta dei soldi della gente. C'è una Asl di Catanzaro, la «Mater Domini», che mediamente impiega 3 anni e mezzo a pagare le fatture. Continuando così, su ogni 100 mila euro dovrà versare 25mila euro di mora e interessi. In Calabria per il pagamento di una fattura sanitaria passano mediamente 833 giorni, in Campania «solo» 440.
Non finisce qui. Molte amministrazioni stipulano con le aziende fornitrici accordi «capestro» che prevedono espressamente la rinuncia agli interessi di mora e il rispetto dei tempi di pagamento. Segnalazioni di questi comportamenti contrari alla legge sono giunte dalle aziende alle associazioni imprenditoriali, che le hanno girate al vicepresidente della Commissione Ue, Antonio Tajani. Ma pur di lavorare, molte imprese devono chinare il capo.
Molte Regioni non riescono neppure a saldare parte dei debiti attraverso le risorse messe a loro disposizione dai governi Monti e Letta. Secondo una ricerca della Cgia di Mestre, su 19,3 miliardi a disposizione, le Regioni hanno saldato 16,4 miliardi. Sicilia, Sardegna e Campania salgono sul podio dei cattivi pagatori. La Sicilia, su un miliardo e mezzo a disposizione, ha saldato solo 525 milioni (il 34,6%). Nel Mezzogiorno, la contabilità delle amministrazioni locali è, ad essere clementi, «ballerina»: i riscontri di molte fatture sono introvabili. Il disegno di legge del governo Renzi prevede che solo dal 1° luglio prossimo le amministrazioni debbano dotarsi di un registro delle fatture, con obbligo di attestare nel rendiconto i tempi dei ritardi nei pagamenti e l'ammontare delle sanzioni.


Se Stato, Regioni e Comuni saldassero per intero lo stock di debiti arretrati - che il governo, con estrema prudenza, ha valutato in 68 miliardi - l'Erario potrebbe incassare circa 5 milardi aggiuntivi di Iva, calcolano gli artigiani di Mestre. È una cifra pari all'intero risparmio 2014 della spending review. Ma i tempi continuano a dilatarsi, e il potenziale incasso si allontana.

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