La sacralità del cavillo

Non vorrei aver l’aria d’accodarmi a Silvio Berlusconi prendendomela anch’io, nel mio piccolo, con i magistrati. Ed eviterò l’uso del termine sovversivi, senz’altro non appropriato per l’istituzione e le situazioni cui specificamente mi riferisco. Probabilmente nessuno dei giudici appartenenti ai famosi e famigerati Tar cova il proposito di scardinare lo Stato e di ridurre in frantumi le poche e sbrindellate certezze di cui ci nutriamo.

Ma, al di là delle buone o cattive intenzioni, il risultato che abbiamo sotto gli occhi - e va riconosciuto ai Tribunali amministrativi il merito d’averlo determinato - è quello d’un Paese le cui le regole hanno la solidità della sabbia, è quello di autorità le cui decisioni sono infallibilmente smentite (e poi viene smentita anche la smentita), è quello dell’attesa come dogma, del rinvio come soluzione, del ni (non un no o un sì chiaro e netto) come risposta agli interrogativi della gente. Un ricorso e il giuoco è fatto, se ne riparlerà chissà quando. Potrà sembrare che io abbia un fatto personale con i Tar, perché mi capita abbastanza spesso di prenderli di mira. In realtà a me come individuo non hanno fatto niente di male (e nemmeno di bene). Di giudici amministrativi ne conosco qualcuno: in generale persone garbate, a volte squisite. Che tuttavia compitamente colpiscono al cuore la più sciocca ma anche più forte convinzione dei cittadini ingenui e onesti: la convinzione cioè che in Italia ci siano delle leggi cui affidarsi. La colpiscono ostentando d’essere apostoli e assertori proprio d’una suprema sacralità della legge.

 

Ma è un equivoco. Tra legge e cavillo c’è differenza. L’ultimo intervento riguarda - l’avrete letto - la base militare americana di Vicenza. Fermi tutti, intima il Tar del Veneto (mai che intimi di far presto). Il progetto d’ampliamento approvato da una giunta di centrodestra e avallato sia da Prodi sia Berlusconi deve essere bloccato perché quei leggeroni del Comune, del governo, magari del Pentagono hanno valutato solo superficialmente l’impatto ambientale delle opere, sono incorsi in irregolarità procedurali, non hanno indetto al riguardo un referendum popolare. Tutto questo manderà in estasi i nemici degli Usa e, oggi come oggi, anche del mefistofelico ministro La Russa. Ma l’obbiezione della gente che paga le tasse è semplice. Possibile che governo e enti locali, dotati di uffici tecnici e di uffici legali affollati e ben pagati, non avessero valutato a dovere né l’impatto ambientale, né le procedure burocratiche, né l’esigenza del referendum? Possibile che solo il Tar fosse in grado, nella sua superba onniscienza, d’individuare così gravi lacune? Evidentemente è possibile. Così come è possibile che un qualsiasi Tar si pronunci sulla bocciatura di un ragazzo alle medie più e meglio dei professori, che i Tar redimano i fannulloni pubblici trasformandoli in volonterosi tipi soggetti alle traversie della salute malferma, che il Tar di Catania con giudici catanesi tifosi del Catania fosse stato chiamato a dire la sua su una questione - non ricordo bene quale - riguardante la squadra calcistica di Catania.

I Tar sanno tutto o si presume che sappiano tutto, e comunque fermano, rallentano, annullano, inceppano,

cancellano a costi enormi per la collettività? Sovversivi? Dio ne gardi. Ma non mi pare che diano una mano al Paese, con la loro terapia della catalessi. Avranno anche ragione, quando bloccano. Ma fosse per me, bloccherei i Tar.

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