Caro dottor De Benedetti,
in effetti quel che lei fa come editore e come politico mi interessa sempre molto per orientarmi e informare i miei lettori.
Risulta da notizie del Corriere della sera, datate 11 maggio 1993 e mai smentite (e da altre fonti controllabili), che 552 ex dipendenti della Olivetti di Crema furono assunti nel settore pubblico, dalle Poste al ministero dei Beni culturali all’amministrazione del Tesoro.
La pratica industriale ordinaria in molti e molti casi, come lei sa benissimo, è sempre stata quella di risolvere con prepensionamenti contrattati e concertati, e altri sistemi, compreso il trasferimento ope legis di dipendenti dal privato al pubblico nei casi più gravi, i cosiddetti esuberi.
Olivetti non fece in questo senso eccezione. La mia polemica è con il facilismo che la spinge, in questo sistema di relazioni private e pubbliche con lo stato, per non parlare di telescriventi, a emettere sentenze di «inutilità» a carico di una riforma del mercato del lavoro (compreso l’articolo 18 dello Statuto) che cerca di attribuire all’impresa una misura di responsabilità e di libertà finalizzata allo sviluppo produttivo e all’allargamento dell’occupazione, con le giuste tutele contro gli abusi. Mi spiace che lei ritenga falsa e offensiva questa polemica.
Quanto all’Olivetti, fallimento nella lingua di un giornalista non è necessariamente un concetto commerciale o ragionieristico. Lei ha pagato i fornitori eccetera, d’accordo, ma l’Olivetti non esiste più da tempo e la creazione di valore poi investita nell’acquisto di Telecom passò, come tutti sanno, per la concessione alla Omnitel Pronto Italia di una concessione come secondo operatore della telefonia, fatta con amabilità dal governo Ciampi un minuto prima delle elezioni del 1994.
«Strana e inaccettabile», definì allora Fausto Bertinotti quella decisione di un governo in carica per gli affari correnti. Bertinotti dovrebbe essere d’accordo con lei nel giudizio sulla riforma del lavoro della Fornero. Sospetta creazione di valore, pensammo tutti. È poi ben vero che l’ingegner Scaglia lavorò benissimo in Omnitel sul rischio e sulla sfida tecnologica.
Vero che l’ingegner Colaninno fondò la sua fortuna di industriale e di finanziere su quell’acquisto da lei sconsigliato.
Con viva simpatia
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