Cortocircuiti pericolosi. Macigni etici risolti a colpi di sentenze, il gran circo della politica che si anima per temi inevasi in nome dell'unica ragione che conti, quella elettoralistica. C'è davvero molto del Belpaese nella sentenza depositata ieri dalla Corte di Cassazione, la quale in sostanza decreta che un minore può tranquillamente crescere in una famiglia omosessuale. La storia parte da Brescia, dove un uomo aveva contestato la decisione della locale Corte d'appello, che nel luglio del 2011 aveva affidato in via esclusiva il figlio minore alla sua ex compagna, nel frattempo andata a convivere con un'altra donna. Per la Cassazione, è un «mero pregiudizio» che «sia dannoso per l'equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale». È un mero pregiudizio la necessità di un padre e di una madre, per passare dal burocratese al linguaggio della vita. Posizione sostenibile, certo, anche argomentabile, ma che scomoda qualcosa in più dei costi di cancelleria e delle tecnicalità giuridiche. Irrisolti pedagogici, evidenze scientifiche, o pseudo-tali, scelte di campo morali, diritti degli individui, di tutti gli individui, compresa la terza parte in causa, il bambino. Il quale peraltro, nella fattispecie, non è stato affidato al padre, un immigrato mumusulmano, per motivi fondati, che vanno dalla condotta violenta dell'uomo verso la compagna della madre a un suo allontanamento prolungato dal figlio.
È la ricaduta generale che inquieta, la sbrigatività con cui un giudice archivia una questione gigantesca a «mero pregiudizio», la valutazione che si fa nella sentenza su «certezze scientifiche e dati d'esperienza», una dichiarazione d'ottimismo sullo stato della ricerca in materia, ad essere generosi, se non una, non certo inedita, esondazione della giustizia italica in lande non esattamente di sua competenza. Soprattutto, per una Cassazione, che fa precedente e stabilisce principi. Non a caso, ieri si è subito innalzata la meccanica e unanime esultanza delle varie associazioni omosessuali, da Arcigay a Gay Center (l'espressione «sentenza storica» è stata ovviamente la più gettonata, nella gara del commento precotto tra uffici stampa).
Perché come sempre, se la giustizia sconfina lo fa grazie a un vuoto, a mancate scelte della politica, che contempla la casella «temi etici» solo ogni cinque anni, nella ridda elettorale. E allora sotto con Ignazio Marino, l'esperto di laicità del Pd, per cui «la Corte ha sancito un principio di civiltà», subito rimpallato da Maurizio Gasparri, che ha parlato di «precedente molto pericoloso», mentre per il leghista Massimo Polledri il tutto è «un anticipo del governo Bersani». Rispetto ai politici, sono i vescovi ad andare nel merito, a scovare il tema: «Non si può costruire una civiltà attraverso le sentenze dei Tribunali», nota monsignor Domenico Sigalini, presidente della Commissione Cei per il Laicato.
Ma qui la civiltà interessa poco, ci sono le elezioni, e la questione omosessuale è pur sempre una nicchia. Di voti, beninteso. Anche Monti ha sobriamente messo in lista il «suo» guru omosessuale, Alessio De Giorgi, direttore di GayTv e già animatore della campagna renziane per le primarie. Che ha scorto «candidati incandidabili nel Pd» e allora via, a sostenere le ragioni omosessuali a braccetto con Rocco Buttiglione e Paola Binetti. C'è poi Paola Concia, che ieri ha colto l'assist della Corte, rilanciando: «I giudici sono più avanti della politica».
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